Secreti segretae.
Giancarlo Varagnolo
Jacopo de Modio : maestro di grammatica aut clerico vagante (ferrarese?).
Cristoforo Tomeo : cittadino chiozzoto.
Zacaria Veniero : armato veneziano.
Tre armigeri genovesi.
La scena rappresenta l'interno di una prigione, porta d'inferriate a destra con tre gradini, tavolaccio a sinistra dove si suppone vi sia una finestrella (spirocolo).
Preludio
La scena [strada!] è fioccamente illuminata, giá all'aprirsi del sipario si odono clamori & clangori.
Scena 1
Cri (vestito da armigero entra trafelato brandendo spada e daga): Assasini senza onore! Malededti!
Massa i zé. E semo circondai. Ma de chei cani genoesi ghe ne vogio un bel fiá prima che i me ciapa a mi! E a st'altri tutti, padoani e ungari, che ghe vegnisse un cancaro, becchi fatti e ditti!
Scena 2
Ven (entra rinculando, curvo, con una assa ciondolante in mano, tiene l'altra mano sulla spalla, é vestito piú propiamente da armato): Ca' de dia: quanti zeli?!
Cri: Chi zestu?
Ven (trasalendo):Zacaria Veniero, venesian.
Cri: Ah, benon, mi su ciosoto, me ciamo Cristoforo. (Clamori e voci in avvicinamento)
Ven: Vara che i riva.
Cri: 'ndemo de qua! (da dove era entrato; si nota che Ven´è ferito)
Scena 3
(Entrano i soldati, almeno uno con balestra, grida a soggetto in genovese, padovano - ungaro?)
Atto.
Scena 4
(Luce meno fioca progressivamente. Imprecazioni e rumori. Cri viene spintonato giú dai gradini, non ha piú la casacca, mani legate dietro la schiena)
Cri: Maledii! Cani!Ve la faremo pagare, cancari!
Jac (levandosi lentamente a sedere sul tavolaccio): Possente Giove! Quale ispecie nuova di gallo m'han messo in cella che all'alba impreca come un domenicano predicatore invece dell'usato chicchirichí? Eppoi: il travaso di bile guasta il sangue.
Cri (scatto di sorpresa, poi con stizza): E vu chi sé? Belo pacifico che dormí co' la çitá che zé drio a vegnir distruta?!
Jac (ridente): Sono stati i vostri stessi a segregarmi non dandomi ...
Cri: Ti zé 'na spia, gaglioffo! (Gli si appresso, ma ha le mani legate)
Jac (ride di gusto, si alza): Non avrei la testa attaccata al collo; voglio dire che me l'avrebbero giá staccata con un bel taglio netto (gesto alla gola). Anche se , a dire il vero, quando fui preso dai Signori di Notte, la mia testa era in empireo per tutto il vino tracannato.
Cri: Ma sé foresto! Cossa fazevi qua?
Jac: Jacopo de Modio, grammatico, per servirla. Peccato che abbia perso la mercede cambiando, suppongo, reggitori.
Cri: Pesso de merda! Can! (fa per buttarglisi addosso)
Jac (fermandolo con una mano al petto): "M {[non riesco a trovare i caratteri greci]}
Cri: Coss'è 'sto latinorum? Cogionistu?!
Jac: É greco; "cantami, o diva, del pelide Achille l'ira funesta... ". Achille, l'eroe greco. La guerra di Troia ... Non continuate ad arabbiarvi, calmateve.
Cri: Seh, calmarse!
Jac: Si potrebbe fare una partita a scacchi. (va verso il tavolaccio)
Cri: No' avaria gnente de megio da fare!
Jac (mostrando una scacchiera): Avendoli si potrebbero manducare lupini o semi di zucca.
Cri: E dopo ... mi no' so ziogare chel ziogo.
Jac: Come, un cavaliere come voi?
Cri: Che cavagliero! mio pare zé un salinante.
Jac: Ricco, adunque; il sal clugiae é esportato ovunque. (Cri non risponde) Bene, ve lo insegno io; tempo non ne manca qui, aspettavo un compagno c'alleviasse il tedio della cattivitá.
Cri: Seh; e secondo ti mi avarave testa da starte drio a quelo che ti me spieghi?! Co' quelo ch'i zé drio a fare la fuora! Valà preti!
Jac: Ma io non sono prete.
Cri: Come no?! Tuti quei che studia no zé sta in seminario e i à tolesto i ordrni?
Jac: Beh, sí; ma io sono solamente chierico.
Cri: E vedistu!
Jac:Va bene, e con questo? Intanto girati.
Cri (sospettoso): Percossa?
Jac (risata): I chierici sodomiti sono dentro i conventi, io sono vagante, va-gan-te e mi piacciono e mi congiungo con le figlie, le nipoti e anche le cugine di Eva. Voltati che ti libero le braccia, oh selvatico. (compie facilmente) Non solo non hanno più catene ma nemmeno corde (mostrando du strisce di stoffa). Meglio cos=i.
Cri (massaggiandosi i polsi): Grasie.
Jac: Siediti che inizia la lezione. Non ho tutti i pezzi, ma intanto, per spiegare le regole del gioco, bastano. Questa è la scacchiera, il campo di battaglia. Qual è lo scopo del gioco?
Cri: Ocupare pi' quadrati che se puole.
Jac: Bravo il mio mercante, ma quella é la variante di un altro gioco; questo, diciamo, è rimasto con le antiche regole della cavalleria: cioé ci deve essere, deve restare un solo re in campo. Una volta, pare, non si combattesse per i soldi, ma per ... uccidersi e basta. Per diletto.
Cri: Ma anca adesso varda che maçelo de zente! No se podaressimo metare d'acordo sensa rovinarse l'un co' l'altro e distruzare tutto, tutto quelo che sá fato co' fadica e suor?
Jac: Vaglielo a dire. E quelli che che predicano "il mio regno non è di questo mondo" benedicono questi lavacri di sangue. Infatti, ecco (mostra), nel gioco degli scacchi ci sono anche due vescovi, due per parte, e sono, quarda casa, quelli che si muovono in diagonale sulla scacchiera, non dritti (segno verticale e orizzontale della mano), ma di sbiego. E, pensa, sono uno al lato del re e l'altro al lato della regina. Cosí. (mette i quattro pezzi)
Cri: La regina cossa ghe entrela? La zé 'na dona ...
Jac: Sei ancora celibe, vero? (Assenso di C.) Beh, ti accorgerai quando avrai moglie chi comanda in casa. Oh, sì, noi pensiamo di aver in mano il potee, ma in fondo, poi, a dirigere sono loro, le donne, le madri, le sorelle, le zie e talora le figlie, e sempre, sempre, le amanti.
Cri: Ecco che salta fuori i frate predicatore!
Jac: Ehi, non dico di astenersi dal giacere con le femmina, anzi! "Melius est enim nubere quam uri."
Sto solo aprendoti gli occhi sulla realtà quotidiana. I dotti, gli eruditi arabi, sí, quei pagani! che hanno salvato e tradotto gli scritti di Aristotele, intendo, quando hanno ideato questo stupendo giuoco che è fra i pochi che non richiedono né destrezza né tanto meno fortuna, bensí solo la potenza dell'intelletto. (C. sbuffa) C'è poco da essere scettici: è qui che si vede il politico, il mercante, l'uomo prevvidente, l'uomo che prima di fare una mossa valuta tutte le possibili mosse di risposta dell'avversario. Altro che i vostri tornei e gare di forza! Bella figura ha fatto la Serenessima ... non sapendo ...
Cri: Cossa varavistu dire, sapienton?! Che el doge zé mona?
Jac: Perché? se uno è grullo glielo si deve ben dire a far capire. E infatti guarda come ultimamente cè un continuo scambio di teste sotto la tiara dogale [?].Che si mettessero in competizione e la rivalità, dovuta a interessi molto materiali, pecuniari, dovesse sfociare in una guerra vera e propria con Genova, beh, era nella natura delle cose, la storia insegna: Atene/Sparta, Roma/Cartagine, Firenze/Pisa ..., ma che non si potesse far nulla per avere non genova ma la Serenissima come alleato l'Ungaro e non si potesse tener boni i Carrara, confinanti, e ....
Cri: Eh cossa?! Zé sta lori che i n'á mastrussiao, i n'á turao a çimento, i n'á ....
Jac: E i Veneziani a Famagosta [?] hanno offerto ambrosia e pane dolce a ...
Cri: I zé stai ben copai tuti che i traditori e ´pergiuri.
Jac: Ma anche se fosse ....
Cri: Se fusse cossa?
Jac: Anche se fosse vera la ragione del risentimento, massacrare gli abitanti e spargere il sale sulla città non v'ha procurato certo alcun vantaggio.
Cri: Eh sí, perché ti cossa averessistu fato?
Jac: Diplomazia: mano di ferro in guanto di velluto.
Cri: Vanto?
Jac: Non sapete cos´è un guanta? E si che c'è l'arte dei vanteri a Venezia. Non avete visto il doge coprirsi con essi le mani benedicenti il mare? Avete presente le moffole, le manipole dei cavalieri? Ebbene immaginatele di velluto o seta, o meglio ancora della sottile pelle del camoscio invece che di metallo, e con tutte le cinque dita ben divise: quasi una nuova pelle. Vanno molto di moda ora presso le dame che, e torniamo alla regina degli scacchi, vogliono copiare abati ed alti prelati nell'indossarli con la risibile scusa di non evitare di rovinarsi le mani nemmeno per prendere in mano un cucchiaio o, libera nos Domine, avere contatti con oggetti o soggetti poco puliti. Se ne fa un gran commercio dal Baltico ove cervi, daini e quant'altri pellemi pregiati non mancano.
Cri: Me sa che i zé cossí fini da impenire una marciliana per 'na çitá intiera.
Jac: Così credo.
Cri: E chissà quanti bessi che i ghe ricave. Se anche nultri ...
Jac: Manca la materia prima. Qua oltre che all'acqua salata, che vi dà dell'ottimo sale, altro non c'è.
Cri: La natura, qua, la zé cossí, cossa avaressimu da fare?
Jac: Beh, per me, proteggervi le spalle.
Cri: Cioé?
Jac: Avere le spalle salvaguardate, riparate, coperte dalla terra, dall'entroterra: non restar un'isola. Un'isola anche isolata.
Cri: E cossa dovaressumu fare, secondo ti?
Jac: Avere piú man libera, piú contatti, piú alleanze, capite?, con la terraferma che vi sta intorno.
Cri: Coi padovani?
Jac: E perché no?
Cri: Galioffo! Come sarave a dire? Co 'sti becchi fatti e ditti! Co 'sti asasini sensa onore!
Jac: Fate quel che volete, voialtri chiozzoti, io oggi sono qui e domani magari nel Katai. Da quel che ho visto e sentito mi è chiaro che Rio Alto ha da tempo deciso di tenervi nelle condizioni appena decenti e quasi sufficienti nelle quali siete per paura che la sopravvanziate e decidiate per vostro conto di allearvi o rendervi vassalli di uno Stato piú ...
Cri: Ma cossa disidtu? Farse liberi, indipendenti? Tradire Venessia?Ma, dime: t'ai messo qua i pavani per farme deventare spergiuro e traditore? Ma mi te copo! (Si alza)
Jac (alzandosi e tenendo la scacchiere in verticale con le due mani, unanglo contro il petto di C.): Puó essere una buona daga la scacchiera. Non cè peggior cieco di chi non vuol vedere e peggior sordo ...
Scena 5
(Si odono rumori fuori della porta; arrivano soldati sorreggendo V., che lasciano ruzzolare giú dalla gradinata.)
Sol: Mén a bélin.(rinchiude il cancello)
Cri: Veniero! I t'á ciapao anca ti!
Jac: Addio partita a scacchi.
Cri: Contame: come zela là fuora? Ài ciapao tuto? Diseme. (V. biascica)
Jac: Con due chiozzoti qui dentro (avvicinandosi allo spirocolo - finestrella) speriamo si mangi qualcosina di più.
Ven (flebile): Acqua.
Cri (gridando): Acqua, deme del'acqua!
Jac (prendendo una brocca e capovolgendola): Non ne è rimasto neanche un goccio.
Cri: E alora fevela dare, sacranon! Domandeghela a chei bastardi.
Jac: Se sono bastardi ... (si avvia all'inferriata) Ehilà, gente, guardie, messeri!
Sol: Uhé, no rumpi u bélin! (sorpreso) Ma da dove salti fuori tu?
Jac: Magari saltassi fuori! Sono quattro giorni che sono ingabbiato in questo camerotto. dell'acqua per il ferito (bofonchiando S. va) e (grida) del pane, per me.
Cri: Varda come che i lo à ridoto.
Jac: Tamponiamogli almeno le ferite. (prende degli stracci dal pancone)
Cri: Che bestie che i zé, che bestie! Cani!
Jac: E già tanto che non l'abbian pasato a fil di spada.
Cri: Tazi ti!
Jac: Meglio per lui, spero. Ma l'averlo risparmiato è segno che ne hanno già scannati troppo, che ormai la città è perduta. Hanno vinto.
Cri: Tazi!
Jac: "Alfin fui preso, e vinti me ligava / Daspò ligà, quatro da cao a piè / Me portava de peso e mi bragiava."
Sol: Qua l'acqua.
Jac (prendendo la brocca): E il pane?
Sol: Uhé, bélin, ti si propri un massacan.
Jac: Molto obbligato. (porta a C. che fa bere V.)
Scena 6
Cri: Ghe fusse un infirmario ...
Jac: Se non hanno sgozzato i servitores dell'ufficio caritatis di santa Croce ...
Cri: E ti, co tuta la to sapiensa, no ti sa qualche spergiuro ...
Jac (ridendo): Oh sí, ho visto un vostro guaritore ...(imitando) "fermate sangue! serate vena! per chela pena de ch'El meschin che muta l'acqua in vin!".
Cri: Me pare che la sia poprio ...
Jac: Potta! Se bastasse un distico e un segno di croce ... gli gli xenodochi sarebbero tutte taverne!
Cri: Cossa distu? E alora, cossa femonu?
Jac: Observazio, medicamentum, manus operatio. "Tienila pulita e riparata dai nemici tanto esterni quanto interni: in questo modo si guarisce ogni ferita." Paracelso dixit. (esamina denudando, ubi necesse, Ven.)
Cri (imbarazzato per il sangue): Ma no zè che fazemo pezo?
Jac: Laviamo e chiudiamo; non si deve lasciare una ferita aperta e sporca. Se sono tagli guariranno, potendo avere della piantaggine, del balsamo vulnerario ...
Ven (si lamenta): No ghe vedo pi'.
Cri: Cossa zè?
Jac: Avrà preso delle mazzate in testa ...
Cri: Venier, dove te diole?
Ven: Dapertutto. Chei cani ... çento contro uno. Ma quanti zei?
Cri: Se i no' fusse stà cossì mòndo no' i ghe a l'avarave fata a schisarne.
Jac: Beh, un mezzo mondo di sicuro: genovesi, padovani, Luigi I d'Ungheria e Marquato di Randek patriarca di Aquileia, coi Visconti che stanno guardare e i sareceni che hanno già acquolina in bocca.
Cri: Tutta invidia, tuto fiele: ghe bruze che semo pi' megio de lori a farse avante coi comerci!
Jac: Superbia et avaritia venetianorum? E la vostra cupidigia, il vostro voler araffare tutto et in ogni luogo?
Cri: Nuialtri volemo comerciare co' tuti!
Jac: Transit; lascia perdere, dammi un'altra pezzuola; pulita!
Cri: Pulia? Dove trovo 'na strassa nèta? Ma se dopo su la feria ti ghe meti fango e merda de ...
Jac: Ancora a 'ste pratiche da rustici, zotici e ignoranti credete? (sarcastico) "pus bonum et laudabile"! Così la ferita si infetta prima, marcisce e si decompone dipoi. E non sapete ancora distinguere da un decotto di piante officionali di mastro speziale dagli impiastri millantati da un rasore incolto.
Cri: Oh, ti sa tuto ti!
Jac: "Rerum experientia est magister intelligentiae", da come hai guardati il sangue e le ferite, poi, mi sa che è la prima volta che le vedi. Fortuna che sono ferite di lama, s'era un dardo da balestra ...
Cri: Ò visto ...
Jac: Avrai visto l'asticciuola piantata nelle vesti, non lo squarcio nelle carni; il ferro frantuma le ossa, lacera gli organi. I genovesi son piuttosto rinomati come balestrieri
Cri: Ohu, ma zestu uno de lori? Te còpo, mi.
Jac: Vediamo di non far morire questo. La regola è l'osservazione della vita. Repetite iuvant.
Cri: E molighela de parlare in latin.
Jac: Ho detto che ripetere le cose aiuta ... purché uno le capisca, e ascolti. Ipse dixit ... ho appena detto che le cose, i fatti della vita, gli accadimenti, totus et omnia, si devono guardare senza pregiudiziali né morali, né dottrinali, né umorali.
Cri: Né da sapienton.
Jac: La sapienza teorica puó essere anch'essa fallace, la conoscenza pratica segue la regula philosophantim: l'osservazione, l'indagine, la sperimentazione, il riscontro. [tutto il dialogo è detto pulendo e bendando Ven.]
Cri: Intanto l'amalà muore.
Jac: Anche l'errpre porta a conoscenza, per agir diversamente in futuro. Serve ancora acqua.
Cri: Mi so che i ghe pisse anca sora a le ferie.
Jac: Perché anche (beffardo) non defecarci sopra, visto che ci siamo?! "Domine non sum dignus (battendosi il petto), miserere nobis.
Ven: Domini, miserere ...
Cri: Venier!
Ven: Fame confessar.
Cri: Ma custia no' a zè un prete.
Jac: Posso sempre, in un qualche modo, dargli l'assoluzione dei peccati.
Ven: Sí, dame'a, patre.
Jac: Però dovrei sapere quali sono le colpe da perdonare.
Cri: Cossa vostu, savere i fati soi, adesso?
Jac: Bom, e i preti cosa fanno?
Cri: Ma ti no' ti zè un prete.
Jac: Bel modo filisteo di ragionare: per assolvere sono quasi sacerdote, per ascoltare i peccati non lo sono per nulla.
Cri: Daghe una benedission a la bona.
Jac: Come sarebbe "alla bona"? Cos'è: i preti qui sono come i tavernieri che allungano il vino per guadagnare di più? (berciando) Una benedizion da do soldi; a mi un'assoluzione bella da un grosso.
Cri: Eh, che se' sofista.
Jac: No, sono piuttosto epicureo.
Ven: Padre ...
Jac: Va bene; dimmi:" [da trovare la forma latina!] Ti penti di ogni colpa commessa con parole, opere et omissioni? E perdoni ai tuoi debitori ...", genovesi inclusi?
Ven: Ah, chei cancari! (tossisce per lo sforzo iracondo)
Cri: Venier!
Jac: Vedi che il Signore Domine nostro ...[ti toglie la voce]
Scena 7
Arm: Chiou l'è de Cluzza?
Cri: Mi. (a Jac.) Cossa che i vogia? (all'armigero) Percossa?
Arm: Et li atri?
Cri: No, elo zè venesian, e elo a zè foresto.
Arm: Vegne chi e übedisse. I chiozzoti ga de ir töti de una parti.
Cri: E per cossa?
Arm: Uhe, che rumpi u belin! Mescite! Messere Da Carrara ve vê parlari a töti vuiatri. (lo prendono e via)
Jac: Dell'acqua. (porge la brocca)
Arm: Men a belin, cosse ti 'oe? (l'allontana e via serrata grata)
Scena 8
Jac (con la bocca all'imboccatura della brocca = eco): Sagitta vi bruci! Stercorari. (a Ven.) Torniamo a noi.
Ven: Cossa zè sucesso?
Jac: Hanno fatto uscire il chiozzotto. Francesco Da Carrara vuol parlare ai chiozzotti. Abile mossa politica, voglio supporre: concedere l'indulto e magari regalie a chi gli giurerà fedeltà; deve ben avere un appoggio interno alla città se vuole che gli resti vassalla.
Ven: Zaffo!
Jac: Ehilà! Immagino siate mercante, per quanto in arme, anche voi: la merce va al miglior offerente e qui si tratta, poi, alla mercé ...
Ven (flebile, ma udibile): Vette a far buzzarar ti e ...
Jac: "S'i' fosse fuoco, ardereï 'l mondo;/s'i' fosse vento, lo tempesterei;/s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;/s'i' fosse Dio, .../S'i' fosse .../torrei le donne giovani e leggiadre:/"; le donne ... (sospiro) Avrete parenti, immagino, liberi in Venegia, intendo. (borbottio di Ven.) Bona! Verrà chiesto il riscatto, le vostre genti pagheranno et brevi sarete libero.
Ven: Venessia zè persa. Che libertà mai gavaremo?
Jac (canta): "O Fortuna, veluet Luna statu variabilis,/semper crescis, aut decrescis, vita detestabilis". Siamo nelle mani di Dio, o del caso, se posso suggerire.
Ven: Ah, Signore Domine ...(si lamenta)
Jac: Messere, più di così non posso fare non avendo con me piante officionali; un po' di centaurea gioverebbe. Sopportate di vostro il dolore, non mi è parso di riscontrare alcuna ferita di punta ...
Ven (biascica): mh.
Jac: e fino ad ora non avendo espettorato sangue, escludo lesioni interne. Che v'abbiano malmenato assai ...[è palese] Ora lasciatevi andare fra le braccia di Morfeo, dormite.
Ven: Meledii.
Jac: Messere, invocare ad altri e su altri ignominia non porta bene poichè ... poichè ben sapete l'exemplum evangelico dell'apostolo Pietro nell'orto dei Gezzemani che tagliò l'orecchia al legionario, e Gesù, riattaccandolo a colui, "chi di spada ferisce, di spada perisce". E le parole son spade, e chi va alla macina s'infarina e chiamar maleaugurio agli altri pu{o essere che un po' ne rimanga attaccato anche al committente. Su: respiri lunghi e profondi, e pregate (preghiere biascicate, in latino - dalla scarsella o corsetto o ... estrae un mazzo di carte) Effe mia, guarda che ho qui, me li ero scordati. Son i trionfi, e vi vo a leggere la fortuna. Ludus de naips, lo conoscete. nevvero? Oh, s'è assopito. (va verso la finestrella mescolando le carte, poi canta guardando "fuori") "De là de l'acqua sta la mia 'morosa e mai vederla posso ..."[sec. XV !] (cessa dopo 1-2 strofe per ascoltare il clamore che va aumenta di fuori)
Ven (si agita e si lamenta): Acqua.
Jac (avvicinadosigli): Stanno spennando i ca´poni: i tuoi "amici" pavani e genuesi.
Ven (flebile): Acqua.
Jac: Mi sa che ci possiamo scordare acqua, pane e tutto il resto: è iniziata ora la baldoria, ius praedatoris. Gratia Dei, qui per il momento siamo al sicuro, molto più al sicuro, protetti da queste mura che ci ingabbiano. (porgendo il mazzo di carte, che Ven. rifiuta con gesto stanco) Bom, basta che le tocchi; e dai, che male ti può fare sapere ... spes ultima dea! Chiediamo, chiedete vero?, di conoscere il seguito di questa Iliade miserrima. Prima carta, primo responso: quali circostanze fa-vo-re-vo-li avete voi hic et nunc? Oh, { ......}
[manca solamente la lettura dei 5 trionfi o tarocchi (il lessema tarocco si ha solo nel XVI sec.), ovviamente noi sappiamo come finisce la guerra di Chioggia, e penso che salveremo anche il ferito Ven. 19ott09 gcarlo, clerico ac scriba]
Oh, L'Empereur, el Emperador; l'Imperatore: Giove, qual simbolo di potere. Ma l'abbiamo pescato rovescio. eh, poteva mica esser dritto ché è lì di fuori a dar mano ai Genovesi! Tirannia dei vincitori, debolezze dei vinti, e qui vi devete prendere, messere, le vostre responsabilità perché, mio caro, com'è che si è arrivati a questo? Chi troppo vuole ..., eh?! Conviene controllare i sentimenti e liberarsi delle passioni, perché qui se fai il galletto, il collo te lo tirano perdavvero. Ehilà! un'altra carta capovolta. La Tour, la Torre: distruzione, perdite, privazioni. Periodo sfortunato e ovviamente, visto il vostro stato, un'operazione chirurgica che si dovrebbe far presto o qui mi muori. (altra carta) Ma dai, guarda un po' te: le Monde, el Mundo: epilogo felice! Pensa a guarire, ché devi capacitarti che è lunica cosa che puoi fare chiuso qui dentro perchè il risultato finale è: (altra carta) la Force, la Fuerza, la Forza interiore, la fiducia, presenza di spirito, volontà e astuzia. Recupero del controllo sulla propria vita e la capacità di trasformare le situazioni difficili in favorevoli. Sii pratico, vitale, forte. Fin qui i naibi han favellato chiaramente:
regnabo, regno, regnavi, sum sine regno - la ruota della fortuna. Non c'è da abbattersi, né sentirsi perduti, né sfiduciati, ben´ì prendere atto della situazione attuale e degli errori commessi. Quale sarà la migliore maniera di procedere? Ecco il consiglio del quinto e ultimo trionfo: le Jugement! el Juicio, il Giudizio; contemplazine-purificazione, entusiasmo e rinnovamento. Dai che ce la fate, messere, che ce la facciamo! Nessun timore e tremore, la conclusione sarà felice, supererete le difficoltà, ma con la valutazione, il giudizio veritiero sul passato; e assolvere i nemici per le offese che vi sono state arrecate. Ludus triumphorum .... Messere ... Messere! (lo tocca, ala fronte; poi all'inferriata) Guardie! Guardie!
(sipario)
GV 2010
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