Jacopo Dondi
nella relazione di Carolus Trachino de Padua
trascrizione di
Giancarlo Varagnolo de Clugia
“Leva dunque, lettor, a l’alte rote
Meco la vista, dritto a quella parte
Dove l’un moto e l’altro si percuote;”
(Dante, Paradiso X, 7-9.)
Valent’uomo, messer Jacopo Dondi, professore esimio della nostra universtà patavina, “artium et medicine doctor magister Iacobus Paduanus”. Ebbi l’onore di conoscerlo personalmente e vedere molte delle di lui opere. Ben anche lo vidi attendere alla realizzazione di ingegnosa rejoleria munita di destatoio, opera magnifica, di cui io fui molto colpito e della quale, debbo confessare, mi è ancor oggi oscuro il funzionamento: come possa essere che ruote e rotelle nel loro girare concatenandosi, mosse dalla dall’impulso dato da un immoto peso, producano il cambiamento uguale, preciso eppur diversificato, di tante e tali sfere?
“Ma è lo stesso principio che regola la rotazione delle ruote del mulino!” mi rispondea messer Dondi, al che io obiettava che l’acqua scorre, che il corso del rio ha un suo movimento, e le rotelle del mulino sono ben poche e non sempre iguali nel loro moto temporale. Ma esiste una potenza attiva ed una passiva, una forza che si vede e si percebe ed una che è nascosta, latente. “Il bove che bruca e rumina nel campo ha la forza in sè, che nel suo stare immoto non usa. Igualmente un cesto d’uva sulle spalle d’un villano lo affatica pur restando esso immoto.” Così mi spiegò il dotto professore, e mai esempio fu più chiaro; ma benché io intendessi, e vedete bene com’io ricordi ed abbia appreso la lezione, tuttavia ancor mi manca la comprensione di come un immoto procuri il moto, mi è nascosto questa anella che congiunga e leghi questo a quello, mi defecita, per trarre esempio dagli ineffabili ingranaggi di messer Dondi, la rotellina dentata che muova nella mia mente il ragionamento.
Quel che ognuno può ben vedere e ciascuno è chiamato ad osservare, è l’asta che attimo su attimo si sposta e segna i minuti e le ore, e non potendola scorgere, ecco che v’è stato aggiunto un ulteriore artifizio di modo che un martelletto suoni le ore! Non un colpo solo, no, troppo facile!, ma che i rintocchi corrispondano al numero delle ore segnate nel quadrante.
Se poi lor signori avranno la compiacenza di salire la torre e vedere l’arcano di cotali movimenti che imprime le azioni or ora descritte, vi troveranno ruote e rotelle innestate le une alle altre con dentellature simili ai merli d’una rocca. Mosse da ...? Vi guarderete intorno, e non vedrete nè asini, nè buoi nè altro animale, né presenza umana, e nessun scorrere di acque. La brezza, che gonfia le vele delle nostre imbarcazioni pelagiche? No, e nemmeno le pale dei mulini che si dice usino nelle Fiandre e son mosse dal vento. I Titani che danno impulso a tutto questo sono due massi informi, due grosse pietre trattenute da un robusto canapo. Sì, miei signori, due massi di roccia, amorfi, silenti, incoerenti in quell’insieme di perfezione e accuratezza costruttiva.
Quale fu il cammino di Jacopo Dondi “medicinalis scientie professor eximius” per giungere alla realizzazioni di tali perfezioni meccaniche?
Non sono un uomo di scienza, no, ma sia detto senza vanto, sono un discreto osservatore. Come ognun sa, il ripetersi delle cose ci dà la regola e l‘aspettativa del loro accadere, dal particulare al generalis, l’esempio più comune è il crescere e il disparire della luna, fin dall’antichità l’omo si è avvalso delle fasi lunari per annotare lo scorrere dei giorni e dei mesi. Non che ogni uomo abbia in sè la capacità, il dono di aprire la mente e muoversi a queste conoscenze: “E se le fantasie nostre son basse / a tanta altezza, non è meraviglia” scrive il divino poeta; ciascuno ha i propri talenti da far fruttare, come nella nota parabola evangelica, e messer Japoco, mi si conceda di appropriarmene, ha un talento tutto suo ch’egli utilizza nel miglior modo possibile, donando a noi i suoi frutti.
Frutti. Chi pensi a messer Dondi come un mero uomo meccanico, erra abbastanza, poiché fu uomo osservatore e raccoglitore sistematico dei moti e degli humores della natura, della natura la più semplice, la più comune, la più bassa. Mi si perdoni il giuoco di parole, ma da imo ad astra, così quindi egli indagò e classificò le maree, “De fluxu atque refluxu maris” che, mi si lasci continuare il calembour, lambivano i suoi piedi. Ma non un semplicistico e raccogliticcio prontuario, ma un’organica raccolta di dati, di eccellente consultazione, ottimissima per ogni studioso, “per motum et per lumen”, di codesta opera mobilis et mirabilis di Dio.
“Inventum cognosce meum”: il chiaro professore Jacopo Dondi è giunto a concepire l’idea e operarsi per la realizzazione di orologi indagando il comporsi, muoversi e formarsi dal particolare all’universale. Scientia naturalis, scienze del cielo e degli astri; copiò l’armonia del creato, la meccanicità delle piccole e grandi opere della Natura. Ogni essere, ogni presenza, ogni cosa che incontriamo su questa nostra Terra è perfetta in sè, e la magnitudo è solo mera, effimera e ingannatrice apparenza. Ma tenere fra le mani un fiore e ammirarlo, e studiarlo è ben altra cosa , per un parvo viro, che comprendere non già la furia, ma i semplici quotidiani movienti del mare.
Ebbene, abbiamo gli studi di Jacopo Dondi sul movimento di marea. Uno studio logico consequenziale visto che tempo e marea sono intimamente legati, come ogni buon abitante della costa sa.
“Per motum et per lumen”, per “celumque et sidera”; non solo il tempus ma la mag-nitudo, l’ampiezza nel ritirarsi delle acque: le stabilite e documentate numero di ora nei movimenti di marea non mi spiega la quantità della massa in movimento. In termini visivi: perché abbiamo qui nel nostro Adriatico maree che si misurano in centimetri e nel mare del Nord in metri? Per lumen! Per cause astrali, non terrestri. Ma non sono nè astronomo nè astrologo, come lo fu il nostro illustre concittadino “Jacobus doctor magister”, io son viaggiatore e m’è sì naturale opinare che messer Dondi abbia ben visto maree inusitate per noi, ma comuni nei mari del nord Europa. Fu dunque egli in Britannia? Fu nel regno di Inghilterra? Vide le spiagge fiamminghe? Certo è ch’egli analizza e spiega mirabilmente il moviento sincronico, diario e mensile del moto del venire e andare dell’acqua dei mari lungo la costa; e la parte che la congiunzione degli astri Sole e Luna tengono nell’azione di contrazione del flusso e mutamento orario nel prodursi. Non vi tedierò più oltre, ma lasciandomi trasportare dal flusso della marea, che Jacopo completò di scrivere nel 1354, andiamo all’opera ch’egli pubblico l’anno seguente, “opus quidem hoc longis retro temporibus inchoatum”, com’egli stesso dichiara nel proemio e che io sono propenso a credere, lo renderà claro et illustre in secula secolorum nell’ambiente universitario di medicina qui in Padua ed nel simposio ars medicinae.
Una mente dedita all’interagire di meccanismi e alla predicticità del movimento, non poteva non proporsi di sistematicizzare le conoscenze mediche fin qui conosciute e tramandate; l’Aggregator è questa “enumeratio remediorum simplicium et compositorum”, è il “promptuarium medicinae” che studenti e apprendisti consultano per imparare l’arte e medici già esperti ben agevolmente possono consultare per rinfrescare le loro conoscenze. Medico in Chioggia fin dal 1313, quindi appena ventenne, ma si ricorda che il padre Ysaac era pur egli medico e medici lo sono due degli otto figli - la medicina, possiamo dire, è di casa presso i Dondi. E anni di poi, nel ‘42 se non erro, espressamente invitato dai Carrara in Padova per riassettare o, se vogliamo, rilanciare e rivitalizzare la facoltà di medicina.
La silloge “Aggregator” si basa sul lessico enciclopedico della letteratura farmacologica di 24 auctoritas. Suddivisa in dieci trattati ... di cui non vi parlerò, non solo perché non sono nè medico nè speziale, ma a fortiori per la pregnanza dell’argomento; è solo il decimo capitolo o tractatus che io, pur alieno e ignaro della materia trattata, vedo come specchio della mente sistematica e combinatoria, aggregante e motoria, funzionale e rotante come i congegni, come gli orologi dei Dondi. Nella decima e ultima parte dell’Aggregator vi sono le tavole di concordanza che dotti miei conoscenti definiscono laboriosissime in quanto il complesso di principi ed informazioni tratte dei 24 autori antichi sono affrontate in modo tale da dare concordanza ai problemi sorti da discrepanze metodologiche. Questo deve collimare, incastrasi, combaciare ... con quello e codesto.
Mi fermo qui, che la materia mi sfugge, e trascende i miei interessi d’uomo di mondo, non di studi.
Come pure potrebbe essere opera di magia per me uomo pratico e non chierico, “De causa salsedinis aquarum” se già non sapessi e avessi visto come il sale viene estratto nelle saline, ma in Bagnoli messer Jacopo estrae il cloruro di sodio, nome alchemico del sale dalle acque dolci e senza uso di scaldadore come in si fa in Clugia.
“Aemuli et invidi dectratores” ... Chi non ne ha? Verba volant, scripta manent. Se poi è qualcosa di più poderoso, di più visibile, di più orginale e orgnico che non le parole – ricordiamoci che messer Jacopo Dondi si interessò anche di grammatica – rimarrà il ricordo e si perpetuerà la fama del suo artefice; ad ogni rintocco di ... orologio.
São Paulo, 15 ottobre 2012.
Giancarlo Varagnolo
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