ACRILICO
Giancarlo Varagnolo
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La minuscola donna guarda in giro alle pareti, Gin ne segue il movimento della testa restando impressionato dalle enormi tele alle pareti. Le stanze hanno soffitti alti, sono quasi più alte che larghe. “Sarà abbastanza caldo nell’inverno?” avrebbe dovuto pensare il giovanotto, invece si stava perdendo in non-pensieri guardando quelle tele dipinte in macchie, sprazzi, spruzzi, ghirigori e scarabbi colorati.
“Avrei gia tolto tutta quella robaccia dalle pareti, ma non so ... E se poi arrivano i parenti? Se li vogliono mi devono dare gli arrestrati dell’affitto non pagato, ma ormai, dopo sei mesi ...” All’espressione più perplessa che interrogativa di Gin, aggiunge: “Non, lui non torna, no! È morto; all’ospedale di Marebeau, l’ho saputo dopo due giorni che era lì, ormai in agonia. Crisi etilica. Un mascalzone.” Ma nella voce c’è un che di nostalgia, non avvertita dal possibile nuovo giovane affittuario. “Non credo vi daranno fastidio un po’ di quadri alle pareti; io non ci capisco molto di questa robaccia moderna, ma voi giovani ... Se le piacciono, ce ne sono ancora acatastati qui, venga a vedere.”
Escono nello stretto cortile, la minuscola donna apre un portoncino d’un amplia,ento basso costruito sul lato opposto all’appartamento in affitto. In due pile, accatastati di lato, ci saranno una quarantina di tele, per lo più 50 x 70 centimetri, più in fondo però ci sono tele più grandi e di lato un bel po’ di piccole. “Tutte tele, se lavorava sul legno potevo accendere la stufa! Mi ci è voluta una settimana a pulire tutto. Batattoli e pennelli e tubetti e fogli e cartacce dappertutto. Uno sporcaccione; e sì che gli mandavo una ragazza a pulire, ma lui ...” Scuote la testa ancora stizzita che il pittore “mascalzone” non l’avesse voluta ascoltare. Chiude la porta sospirando. “Pitturate anche voi?” “No, no –saffretta a rispondere Gin – non mi è mai piaciuto, nemmeno a scuola.” “Meglio così. E niente bestie! Lui ha tentato di portare qui un cane, ma io gliol’ho fatto riportare dove l’aveva trovato. Gatti qui in giro ce ne sono, anzi stateci attento che sono tutti dei gran ladri.”
Il giovane borbotta il suo assenso a questa anziana che gli ricorda sempre più una sua zia, nell’esprimersi e nelle cose espresse. “Sarà l’età?” dovrebbe pensare o preoccuparsi che tale padrona di casa gli abiti proprio sopra la testa; ma ha altro che lo preoccupa. “Le dà fastidio la musica? Io suono il piano e dovrei esercitarmi.” “Il pianoforte?” Lo sguardo e il tono della donna è incredulo, se non sospettoso: “E quando lo porta qui?” “Beh, ecco, vede, io suono, sì il pianoforte, ma mi è più pratico usare una tastiera elettrica; sa, come quelli che usano ...” E adesso, che esempio fai alla vecchina perché capisca? “A scuola; ah, in chiesa, in ...” “Suoni in chiesa?” chiede stupita. “No; cioè sì, volendo ... Ecco: suono con un gruppo di amici, sa, musica da ballo, alle feste ... Comunque non si preoccupi, voglio dire che il vantaggio del piano elettrico e che lo posso ascoltare anche in cuffia. Cuffia: quella che si mette alle orecchie per ascoltare musica.”
“Tutti a me devono capitare”, il pensiero affiora appena nella mente della donna, però il ragazzo è pulito, ha un’aria pulita e la musica non sporca e non puzza come la pittura dei quadri. “Ha detto che non fuma e non beve – ricorda – ed ha un lavoro sicuro.”
“Musica? Da dove viene? Ah, sì il giovanotto, l’ingeniere...Ma quando ha portato il piano?” Madame Lambic va alla finestra che da sul viale: ci sono automobili parcheggiate, ma nessuna che le sembri di amici del nuovo affittuario: sì, perché la signora ha le sue idee su come debba essere questo o quello, preconcette, certo, ma chi non ne ha!
Sono accordi, scale, note distinte o tirate confuse; “Non sarà questa la sua musica!” pensa infastidita, ma ecco che il piano o l’organo o quel che è – i timbri sono stati parecchio differenti -, tace; silenzio. Si sposta ad una finestra che dà nel cortile, ma essendo sopra all’appartamento affittato, non vede proprio nulla. Forse se esce qualcuno...
Giù, al pianterreno, Gin ha messo le cuffie e batte sulla doppia tastiera ora veloce, ora molle ora guardandosi in giroesoffermando losguardo sui grandi quadri alle pareti: la stanza e oblunga e come sappiamo ha il soffitto ben alto. Oddio, che fa? Trae ispirazione da quegli scarbocchi! Buon per lui che la padrona di casa, tre metri abbondanti sopra di lui, non può udire questa musica diciamo “astratta”.
Eccoli! M.me Lambic è da ore appostata alla porta-finestra in attesa degli amici del giovanotto, molto educato, quasi fino: le ha fatto molto piacere che l’abbia avvisata che avrebbe tenuto una festicciola con i suoi amici, pochi, gli intimi – con tutti gli altri avrebbe brindato in birreria. Seduta comoda su una sedia dal fondo imbottito lavora all’uncinetto con un occhio sul ferro e l’altro sullo spiazzo sotto casa. Sospira: non le riesce di ricordare se ha festeggiato l‘ingresso in codesta casa. Che sciocca! Sorride, e si dice che avranno festeggiato il suo arrivo i suoi, visto che è nata lì.
La corte ha un suo ingresso al lato dell’edificio principale; un portone enorme che serviva per il passaggio di carri, ovviamente c’è la porticina di servizio ritagliata in un battente. C’è ancora il vecchio tirante con la campanella di bronzo il cui suono si sente poco lassù a finestre chiuse. “Ecco il primo, sì? In scooter. Ma è ..., una ragazza? Con quei capelli e ... Ecco gli altri! Da dove sono scesi?” Il portoncino è già spalancato per l’entrata dello scooter, così il gruppetto festante scompare veloce alla sua vista. L’è rimasta impressa la testa capelluta d’un omone che spiccava dal gruppo. Alla prossiva, Lambic!
Capitolo 2
I maschi si sono già accomodati su divanetto e poltrone, mentre le due ragazze si son fatte mostrare l’appartamento, che è un lungo corridoio con pareti perpendicolari alla lunghezza che lo restringono e formano le stanze. Non c’è molta privacy, ha commentato qualcuno, ma tanto si suppone che sia per una sola persona o una coppia ad abitarci; dalla cucina si può usire nel cortile, così che qualcuno (sempre il solito?) ha ironizzato sulla sciccheria della porta-di-servizio (veramente ha usato l’espressione “Che figo!”). Promosso a pieni voti dalle ragazze, e non hanno trovato per niente kitch l’arredamento perché sono tutti mobili, più o meno popolar-borghesi originali di inizio ‘900, come pure parecchi utensili in cucina; Sherry e Raki studiano alla Scuola d’Arte, quindi qualcosa, ma solo qualcosa - sottolignerebbe Rum , facoltà di Scienze Sociali – capiscono.
Birra per tutti ovviamente. E formaggio con chicchi d’uva, e frutta secca e niente salami-salumi-paté. “Fortuna che ho portato le pizze.”, si autoconsola Pulque, il capelluto notato dalla signora, l’irriducibile carnivoro (“Muoi se non mangio carne!”, “E allora i buoi che sono più grossi di te?” gli rinfaccia sua sorella Sherry, e “Più intelligenti.”, ghignazza il solito Rum).
Raki (venuta in scooter) ha già la sigaretta in mano: “Bello qui, è come al bar: vai fuori a fumartela, anzi è meglio perché se tieni la porta aperta di cucina si può continuare a discorrere. Mi piace.”
Il vasetto metallico posacenere è al lato della porta con i mozziconi di sigarette, per lo più fatte a mano, si sono quasi sciolti nell’acqua della pioggia. Piove dalle prime ore del mattino, un gocciolare leggero monotono che ha eccitato Raki che con grida di gioia s’è lanciata con un impennata dello scooter, sgasando, nella strada.
La stanza è quasi al buio, ma Gin, ancora assonnato, preferisce così per ripulire la stanza da bicchieri, lattine, bottiglie, piatti, ... un golfino dimenticato, e naturalmente un accendino. Avrebbe dovuto bere meno e fumato meno; non che abbia bevuto molto e fumato molto ... “Cacchio, se bevono Pulque e Raki! E non voleva mettere il casco per prendersi meglio il refrigerio sul viso, e una multa, anzi due, visto che era ubriaca.” C’è stato poi l’alterco fra Sherry e suo fratello, usuale conclusione di ogni loro discussione – di che cosa si trattasse non ricorda; non che divergessero molto nelle loro idee, ma erano entrambi pignoli nel voler mettere i puntini, i propri, sulle i. Rum s’era addormentato quasi subito, alla terza birra, nemmeno finita, oh, sì, s’era fumato più di metà della prima canna. “Probabilmente è stato il fumo a far andar fuori di testa Sherry e Raki per i quadri; e ce ne voluto per trattenere Raki a non andare nella stanza dove ci sono le tele accatastate, ch’è chiusa a chiave, ma lei ... Cos’è che aveva detto Rum appena visti? Ah: c’era un asilo nido rogeriano qui prima?” Alla battuta aveva riso solo Brandy, che s’era lanciato in una parodia di critica d’arte che aveva fatto sghignazzare tutti, finchè Raki non ‘sera arrabbiata e Sherry le aveva dato man forte, con Rum che proferiva commenti al vetriolo, Brandy che si teneva la pancia dal ridere e Pulque troppo impegnato a divorare la pizza super guarnita per intervenire. “Diarrea d’artista” aveva tradotto act penting citato dalle due intenditrici e il rifiuto della forma come vergogna di mettersi un paio di occhiali sul naso per vederci bene. Aveva poi dichiarato, mentre le due ragazze tentavano di decifrare i ghirigori che formavano il nome., che gli “imbrattini” mettono la firma per far sapere qual è la parte inferiore del quadro.
Non è per niente chiaro quel che è scritto col pennello, e gli aoutografi non sono tutti uguali, uno è abbastanza chiaro, ma essendo un cognome, un soprannome o una sigla, non dà certezza di interpretazione. Fortuna che, venuto amancare l’umorismo acido di Rum, s’era passati a parlare d’altro, in primis musica.
All’inizio il gruppo si chiamava Stucass con con le due esse o zeta scritte con la grafia delle SS naziste; essendo un gruppo punk-rock tutto ok, perché era fin troppo evidente il richiamo all’espressione di ripulsa “(que)sto cazzo” e poco c’entravo gli aerei germanici e le SS similgotiche una pura e banale provocazione. Con Rum, chitarra accompagnamento, i testi delle canzoni non potevano non essere sarcastici fino al demenziale. Poi era entrata Sherry, canto, quasi di diritto essendo la sorella minore di Pulque, l’orso alla batteria; ma quando si aggiunse Raki (“Jack Frusciante lascia il gruppo? Beh, ho una compagna di corso che suona il basso.” “Una donna?” “Lesbica!?” “E se anche fosse?” “Speriamo carina.”, aveva pensato Gin, solo pensato perché s’era già compromesso con Sherry) e poi il giovanissimo Brandy, chitarra solista, ma anche flauto traverso e piano (appresi nell’ordine inverso), i gusti e le preferenze mutarono, rimase il punk, rimase il rock, si aggiunse il “fuori-di-testa” che Raki si ostinava a chiamare jazz-fusion, il melodico-intimistico di Sherry (Rum: “Che lagna!”) e il “okkeissimo: se lo dice lui, ma dove le trova ‘ste idee” (dichiarazione di Rum, ovviamente, sui brani musicali proposti da Brandy), e si cambiò anche il nome del gruppo, con discussioni interminabili, che approdarono a “i delta” con la i minuscola inserita nella lettera greca (Brandy sta studiando greco antico) che è un triangolo equilatero, molto efficace nella sua semplicità grafica, benché Gin ci vedesse troppo il simbolo del dio cristiano, Raki fosse contenta di vedercelo, Rum non perdesse mai l’occasione di trattare da ignoranti chi gli chiedeva se il nome della band fosse “i triangolo”; Polque, più per fare indispettire sua sorella che per motivi sentimentali, voleva che accanto al suo nome fosse scritto “già” o “ex stukass”.
Si trattava ora, finita l’estate, di trovare nuovi ingaggi per la stagione invernale, cioè fino a maggio, e rinnovare e aggiornare la scaletta del borderò. Di un altro demo da realizzare, s’era rimandato a dopo i contatti con una Indie per un CD che avesse una distribuzione garantita.
S’era discusso di eventuali interventi o partecipazioni in manifestazioni politiche, mai battibecchi fra fratello e sorella e il silenzio di Brandy, e nessuna proposta concreta all’orizzonte, avevano fatto cadere l’argomento.
Continua a piovere; odore di caffè nella sala. Nella penombra i quadri alle pareti sembrano ancor più grandi, maestosi. Che avrà voluto dire, esprimere il pittore con quelle enormi machie di colore, con questi graffi e grumi di colore? Con la tazza in mano, sorseggiando il caffè, Gin si ferma a guardarli quasi fosse in una mostra, in un museo. Che dire? Non sono così brutti; sì, in verità alcuni sono sgradevoli con quelle tinte scure, quei segni quasi violenti, quel senso di ... “Non è roba per me; non mi metterei mai a fare cose simili! Perché, poi? Meglio ...” Svuota la tazza in un ultimo sorso, alza il coperchio del piano elettrico e lo accende. Qualche accordo per sgranchire le dita; poi la musica si leva calma, lenta, quasi a cercare la strada. Senza avvedersene Gin cerca di dare voce alle tele: un passaggio per questa, e quella, e quell’altra che pur non vede ché è nell’altra stanzama che rivede nella memoria. Poi è solo le grandi macchie dicolorivivi, primari, ch’egli intravvede, e il suono si fa più forte, e la musica prende corpo, vigore, ampiezza.
A quanto sta suonando? Che ora è? Non sarà che ha disturbato la vecchia signora ... Si precipita alla porta d’ingresso per vedere chi ha suonato ripetutamente il campanello. Nessuno! Ma la campanina tintinna di nuovo, con impazienza, si direbbe. Non è ancora abituato a quel suono di campanella manuale, vera, che indica che qualcuno suona dalla strada – la proprietaria avrebbe bussato alla porta dell’appartamento ...
“Ciao! Scusa; stavi ancora dormendo?” È Raki nell’enorme bozzolo di un giubbone impermeabile, casco e visiera che la nascondono completamente; la voce è sua, lo scooter anche. “No, no; entra.”
“Caffè?” “Sì, grazie. Stavi suonando?” Sì, e solo ora si rende conto che la musica è scaturita ... “È tutta la notte che penso a questi quadri, cioè penso di averli sognati. Posso rivederli?” Ed è già che si muove e si ferma e osserva, la tazza in mano come poco prima Gin. “Che ne pensi? Ora che non c’è quel rompipalle di Rum puoi dirlo liberamente.” Gin ride, anche per nascondere il suo imbarazzo; dirle o non dirle che stava componendo, ossia improvvisando musica suggestionato da quelle tele, quei colori, quelle, come dire, presenze? “Belli. A me piacciono un sacco. Gurda la vitalità di questo qui; e la tristezza, sì tristezza, o angoscia ... No, è solo tristezza, di questo.” “Beh, se proprio lo vuoi sapere, stavo suonando pensando a loro.” L’ha detto, gurdandola con la coda dell’occhio. “Magnifico!” e l’espansività gioconda, un po’ folle di Raki, si esprime subito in un abbraccio avvolgente e in un sonoro bacio sulla guancia dell’ancora intorpidito Gin. La ragazza è così, lo sa bene, ma ugualmente lo coglie alla sprovvista. “Fammi sentire, dai!” E adesso? Che sciocco non aver attivato il registratore incorporato alla pianola; ma chi ci pensava?
Capitolo 3
Sherry è protesa verso il microfono, canta con le spalle curve, il corpo lontano dall’asta; è un remake melodico, una cover evergreen di sicuro impatto nel pubblico d’ogni età. Raki svogliatamente pizzica il basso elettrico e incontrando lo sguardo di Brandy atteggia il volto a una sforfia svenevole, scocciata e disgustata insieme. Pulque alla batteria è tutto preso dallo strofinio delle spatole, mentre le dita di Gin si muovono autonomamente sulle tastiere: il brano flutua, si snoda da solo. Ma fra poco, anzi no: ecco, proprio ora. “Gente, così non va!” Qual è ilproblema? Una cover, una copia, è una copia: la si esegue uguale, e punto. Certo, molti brani musicali sono già stati resi non perfetti, ma classici: sono così, vanno eseguiti esattamente come da incisione autografa, originale. Pulque è un purista, non ammette deroghe, svisamenti, aggiunte, ritocchi: il brano va eseguito uguale uguale uguale. Rum è in accordo con lui perché prende come una sfida il ricalcare esattamente l’originale, il dimostrare, alla fin fine solo a se stesso, che si può fare. Ovviamente Raki scalpita, vorrebbe sempre dei cambiamenti, delle improvvisazioni, più libertà interpretativa. Brandy di solito non mette lingua perché ha una sua scappatoia: gli assolo; dicendo che sono un di più, una scarica di anfetamine al pubblico (le reazioni entusiastiche sono ogni volta lµi a dargli ragione), si diverte a deformare l’originale. Sherry invece ha due buoni argomenti per chiadere arrangiamenti o sforamenti del brano originale: primo, la sua estensine di voce è più ampia di tutti i cantanti maschi e di buona parte delle femmine, quindi potrebbe, cioè può permettersi intonazioni e infioriture vocali varie, e, secondo, anche i cosidetti classici sono stati interpretati ed incisi da altri artisti che hanno apportato i loro adattamenti, le proprie varazioni, quindi perché copiare uno e non l’altro? Copiare per copiare, decidiamo noi; altrimenti tanto vale suonare in play-back. Gin di solitonon prende partito, gli seccano le discussioni, ed oggi più che mai. “Ok, per oggi basta! Si va a bere qualcosa.”
La birreria è superaffollata; quando non era ancora entrata in vigore la legge contro il fumo nei locali pubblici, qui era nebbia perenne, non da tagliare con il coltello ma con la sega elettrica. La discussione sugli arrangiamenti di un brano noto è arrivata a un punto morto, forse a un compromesso: si fa uguale-uguale un brano notissimo, ma nella seconda o terza ripresa si va con le modifiche personali.
Raki è fuori a fumarsi la seconda sigaretta, quando rientra uscirà Rum, che già la tiene fra le dita già arrotolata; è da settimane che non escono insieme a fumare: l’ultima voltauna sua salace freddura aveva avuto come riscontro un manrovescio di Raki; e gli è andata bene ché la bassista pratica capoeira e un colpo con il piede calzato da scarponcini antiinfortuni lo avrebbe mandato al pronto soccorso. Gin pratica tai chi, Sherry fulam gong perché è quasi un atto politico. Brandy è uno skater ... naturalmente!
Entra nuova gente, sulle panche contro il muro di pietra grezza ci si stringe per far sedere gli amici di Sherry; sono compagni di scuola, Istituto d’Arte. Brandy accenna un saluto continuando a succhiare dalla cannuccia il suo innominabile intruglio long-drink e li osserva con espressione ironica: li conosce già, ma la fauna artistica è meglio della visita allo zoo, gabbie dei quadrumani. Rum sembra offeso nelsuo amor proprio da tutti quegli snob, che decide di uscire a fumare prima del rientro di Raki. Le ragazze sono orride, Pisque le guarda interdetto, e le ascolta allibito e infastidito, i ragazzi ... Non che fosse omofobo, ma questi qui ...! Gin guarda trasognato le une e gli altri, “Questi sarebbero i suoi amici!? Cara Sherry, se mi diventi così, o mi costringi a stare in loro compagnia, beh ... Speriamo di no.”
“Salve! Ma guarda chi si vede! Che ci fate qui? È la birreria della gente perduta, non lo sapevate?”. Ecco, Raki è già più simile nel vestire, nel trucco, nella giovialità melensa, al gruppetto dell’Ist’Arte, che anche lei frequenta. Ed è giuliva che annuncia quasi squittendo: “Abbiamo scoperto un nuovo grandissimo artista! I quadri sono tutti nell’appartamento del qui presente Gin!” Oddio! Ovviamente metà del gruppo ha caito che l’artista in questione è lo stesso Gin. Gridolini di gioia delle ragazze, scetticismo negli occhi dei maschi: un nuovo ? puff! Grande? Naaah! Artista? Uhuhuh! “Che dipinge? Di che scuola è? A chi fa riferimento? Ha già esposto? È di qui? Meterico? Informale? Tecnologico? Maschio? Giovane? Concettuale? Naïf?” Alle domande, Raki e Sherry giocano al rialzo, o a “acqua-fuochino”, trovandosi talvolta in contraddizione, ma , chiaro, perché si riferiscono a opere differenti.
“Si può saperne il nome? Si chiama, avete detto? Un non giovane, o sbaglio?”
Pulque esce infastidito, spintonando – lo fa senza avvedersene? – gli amici di sua sorella. Brandy, nel silenzio non proprio imbarazzato delle due amiche, dichiara placido: “Non si sa, non sappiamo nulla, nessuno l’ha visto.” E riprendere a succhiare il suo long-drink.
Capitolo 4
La voce della signora Lambic ora risuona eccetata, in sintonia con le esclamazioni di Rali e Sherry, pur mantenendo un ombra di scontrosità, ma ha completamente perso la ritrosia e la perplessità di quando le due ragazze le sono state presentate di Gin. I quadri inpilati nel magazzino sonostati sistemati lungo le pereti, sopra cassse e scaffali, le più piccole sopra le più grandi; sono quasi tutte il vista e la stanza ho preso colore e luce per i riflessi delle tele. L’eccitazione delle ragazze si manifesta in esclamazioni di meraviglia e compiacimento: non v’è dubbio che l’essere circondati da una simile scenografia dia un senso di gaiezza, tanto che la signora Lambic invita i tre a prendere un tè su da lei. “L’ho sempre chiamato signor Theo, ma nel contratto d’affitto c’è il nome per intero. Andiamo a vedere di sopra. Lo scatolone tenetelo voi, per il momento, può essere che vi troviate qualcosa di interessante per voi, per me sono cartecce; ne ho buttate via un bel po’ quando ho ripulito.”
“Deodato Churrasco. Cinquantanove anni. Altri dati non sono chiesti nel prestampato del contratto, peccato. Documenti zero se non questo tesserino che riporta l’indirizzo di qui e una minuscola foto in bianco e nero. Poteva essere un impiegato statale: per niente artistico.” Gin continua a fissare la foto-tessera gualcita dall’uso; le ragazze non lo stanno ad ascoltare, freneticamente curiose di visionare il contenuto dello scatolone. La tavola è già coperta di fogli, e il divano; sono schizzi, abbozzi, disegni a matitao carboncino completi, appunti in una calligrafia talvolta minuta ora gigantesca, ma sempre contorta seppur bassa e lineare, difficile da decifrare. Una sola lettera, di vent’anni prima – c’è la data per esteso ma non il luogo – in una calligrafia larga, chiara, spaziosa: femminile. Però non dice molto, sono riferimenti a fatti non palesati, noti ai corrispondenti.
“Direi di mettere assieme tutti i disegni completi da un lato e gli abbozzi e il resto da un altro. Possiamo utilizzare anche quelli per la mostra.” Una mostra; dei quadri di Churrasco; una Personale. L’idea è venuta a Sherry o a Raki, o la scintilla è scaturita dal loro entusiasmo di allieve dell’Istituto Superiore d’Arte.
“E i soldi a chi vanno?” Gli “i Delta” sono di nuovo al Tulip, in un tavolo d’angolo, per pianificare la mostra, che “Caschi il cielo, si farà”. Pulque, nella sua concretezza, ha toccato un argomento che nessuno aveva mai sollevato; sì, perché tutti implicitamente concordi che gli oneri d’allestimento se li sarebbe sobbarcati il gruppo, ma se una mostra si fa per vendere ... Silenzio, ognuno si concentra sulla propria bevanda, risucchio della cannuccia di Brandy che dice con voce bassina e sgranando gli occhi come spiritato: “Bisogna stabilire il prezzo, gente.”
“Lo decidiamo noi in base alle quotazioni medie di mercato e” Gin da uno sguardo a Raki e poi a Sherry “a valutazioni personali.” È trascorsa una settimana; sondaggi e ricerche in tutte le direzioni. Pulque ha desistito dopo i primi due giorni: non è cosa per lui andare per gallerie e ancor meno stare seduto davanti al pc. Le ragazze in scooter vanno alla grande e per unire l’utile al super-utile scriveranno una tesina sulla “Situazione dell’Arte nella nostra città” commentando e citando tutte le “schifezze”(definizione di Rum, ovviamente) viste nelle varie gallerie e studi-d’artista. Nella ricerca nel web Brandy è stato superlativo: aveva persino stampato un file. Come già si sapeva, non c’è alcuna teoria economica che dia la formula per dare un valore in denaro, cioè definire il prezzo di un quadro e di qualsiasi altro oggetto od opera che rientri nella categoria ”arte & artistico” con o senza le maiscole. C’è una valutazione di mercato, ma dopo che il pezzo d’arte è diventato famoso, cioè in pratica abbia avuto una quotazione dai mercanti d’arte. “In sé non valgono nulla. Il loro utilizzo è prossimo allo zero.” Brandy conclude così la sua relazione teorica, poi mostra il listone prezzi di molti cosiddetti capolavori e ne mostra alcune immagini.
“Ma li vogliamo proprio vendere?” chiede con un’aria ingenua Raki, al che Pulque dà in un’esclamazione di insofferenza che sembra il latrato di un cane svegliatosi per una pedata ricevuta. “OK, discutiamone. Sul prezzo di vendita, intendo. Prima vado a fumarmela, gente.” E va con il suo passo lungo, una mano infilata nella tasca posteriore dei larghi jeans.
Sono aggiunti due nuovi pezzi al repertorio, che nel clima del momento non possono che essere veloci, assordanti, frammisti di riff e a-solo. Gli affitti delle gallerie sono astronomici e i galleristi sono approfittatori di professione, d’altronde l’Arte, con la A ...
La suggestione, l’idea viene, per caso: che cosa meglio di quelle loro tele per nacondere le brutte pareti che delimitano il palco e creare una scenario da sballo? Ottimo. Vengono portati solamente tre quadri, i più grandi e colorati. Le ragazze suggeriscono di stampare un valontino con il gruppo circondato dai quadri. L’incredibile risultato: la prima vendita è al manager della birreria che vuole che una tela resti lì, e la contrattazione non è poi così lunga, e il prezzo nella media del mercato “artistico”.
Raki ha impiegato due giorni per rimettersi della bevuta di celebrazione della vendita; Pulque è divenuto possibilista e più malleabile; Rum invece non riesce a capacitarsi che qualcuno compri quella roba lì, ma lo può esprimere solo ad occhiate o quando la bassista non può udirlo.
Continuare così: musica e pittura? Si può riprovare, ma come battage pubblicitario poiché il pubblico dei concerti non ha certo né soldi né voglia di investirli, ok: buttarli in tele imbrattate che può dipingersi da solo (Rum-pensiero). Brandy calmo e serefico comunica, en passant, che ha aperto un sito web con foto dei quadri e disegni e listino prezzi di massima, cioè con una percentuale da permettere uno sconticino durante le eventuali contrattazioni. Le ragazze non si fanno più vedere per giorni, e nel sito appaiono serie, facete, graziose, pertinenti, dotte relazioni o apprezzamenti sui quadri scritti e inviati da ogni parte del mondo e da ogni tipo di persona. Rum mugugna: ma non ha capito che la fonte dei commenti sono basso, chitarra e vocalist de “i Delta”?
Capitolo 5
La mostra si farà, s’è trovata la sala. Loro suoneranno gratis a Natale e a fine anno accademico nell’Istituto d’Arte che concederà per una settimana l’atrio e il corridoio sulla destra per esporre i quadri, molto apprezzati dai docenti che ne hanno visto le riproduzioni. Naturalmente a fine anno scolastico. Nell’attesa che fare? Preparare il mega concerto introduttivo alla mostra: Concerto per un’Esposizione di Quadri. Sì, si sa che il titolo non è originale, ma remake più o remake meno, e poi questo è un gruppo rockettaro, non un’orchestra sinfonica. Però l’idea di tirar fuori qualcosa da tradurre in musica da quei quadri, non è un’idea da buttare. Gin lo aveva fatto già nel primo giorno che li aveva guardati bene.
“Beh, io direi di fare così”, è Sherry che parla seduta in posizione di mezzo-loto sul divano di Gin, “ognuno di noi seglie un quadro e pensa una musica. Ho detto pensa, quindi può essere una canzone già composta che andremo a suonare, a dedicare, ad abbinare a quel quadro; ovviamente se le musiche sono originali, nostre, tanto meglio. Poi però vorrei veramente che si componesse un pezzo nostro per ... per come dire, includere tutti i quadri.” “Perché non dedicarlo al pittore? Mi sembra un’idea carina.” È Raki, dal cortile, dove sta fumando. “Churrasco suite.” Ironicamente propone Rum. “Theo blues mi sembra più adatto,” fa Pulque “visto che Theo è morto.” “Che c’entra, mica ci dobbiamo piangere sopra! La sua opera è viva e sarà lì esposta.” “La birra è finita.” “Beh, si va al Tulip.”
Mancano mesi all’evento, così anche se le idee sorgono lente e sporadiche, vengono ad accumularsi fornendo una solida piattaforma pubblicitaria. I quadri più maneggevoli, ossia di proporzioni ridotte, sono portati assieme agli strumenti nei posti dove suonano, formandone la scenografia. Man mano che i brani musicali dedicati ai dipinti vengono prodotti, li si suona due o tre volte sottolineando il riferimento all’opera pittorica. Sui siti web del gruppo e su quello ufficiale, vengono pubblicate sempre nuove foto scattate da angolazioni diverse , o assemblate o fuse con programmi di graphic-work. Ottima la composizione in cui i componenti del gruppo sono rappresentati come una silouette ritagliata da un quadro ciascuno. Ovviamente c’è il catalogo: pazzesco. Stiamo parlando di quello ufficiale, cioè pubblicato; i prototipi, gli abbozzati, i proposti sono un delirio: il folle sguardo e apporto creativo di tutti gli studenti dell’Istituto d’Arte, amici e non di Sherry e Raki. Sono venute 50 pagine per trenta quadri che ne occupano una, il resto è presentazione critica scelta con il criterio di avere il maggior numero dei punti di vista; la più buffa o surreale o geniale è quella di Abacaxi che scrive una nota di presentazione basandosi esclusivamente sulle sensazioni olfattive, talora con frasi esileranti.
Nel laboratorio di stampa dell’istituto, vengono prodotte alcune gigantografie formato 1:1; di contrabbando. Da queste stampe alle magliette stampate non è che questione di ore perché l’idea venga colta ed attuata. I soldi? La carta di credito o vale per il suo o lo muti, neh! Comunque le vendite dei gadget vanno bene nei concerti che, sparsa la voce dell’originalità della messa in scena del gruppo, sono piuttosto numerosi, in “crescita esponenziale” come assicura Brandy.
C’è anche una discussione protrattasi per settimane, con parolacce, musi duri, frecciatine al curaro, fra chi vuole cambiare il nome del gruppo musicale e chi vuole tenersi fuori dall’intrusione soffocante della pittura. Viene bocciata anche la semplice aggiunta della parola color sotto la base della Delta, ultima proposta minimalista e di compromesso di Raki, in un quasi unanime diniego: “Ma sembrerebbe il logo di una marca di pennarelli! Buah!”
Capitolo 6
Manca ancora una settimana. Eccitazione, certo; ma quello che è più di tutti in fibrillazione è la signora Lambic che si agita trotterellando e squittendo proprio perché non ha nulla di pratico da fare. Talvolta si esprime come se i quadri fossero suoi, non di proprietà ma di produzione, come cosa di famiglia: non è che fra lei e Deodato, o Thèo come le sfugge talvolta di chiamare il defunto pittore, ci sia stato del tenero? Chi l’ha suggerito? Non certo il sarcastico Rum, forse Sherry, o il supposto ingenuo Brandy?
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