martedì 3 dicembre 2013

Rifugio.


Rifugio


Giancarlo  Varagnolo

 

         Scrollò il berretto ed entrò; il rumore della pioggia battente si smorzò un poco. La larga porta di vetro si richiuse da sola, l’immenso salone era deserto. Guardò le larghe macchie umide scure delle gocce di pioggia sul petto della camicia e più giù le leggere scarpe estive: ancora una volta aveva avuto la fortuna di trovare riparo non appena era iniziato a piovere.

         Gli acquazzoni, lo sapeva, duravano dai venti ai cinquanta minuti, tanto valeva sedersi ed aspettare. Si girò per vedere cosa contenessero le due mensole ai lati della larga entrata; alcuni foglietti stazzonati, niente d’interessante da leggere per ridurre l’attesa. Sopra ad ognuna stavano, in teche di legno protette da un vetro, la stutua di una Madona avvolta in un mantello nero che la rendeva un cono sormontato da una corona dorata e, nell’altro lato, un Gesù con la mano indicante il cuore rosso che gli spuntava al centro del petto. Non molto grandi e ben conservate. Si mosse, lungo il corridoio laterare, verso il fondo della chiesa; sedette un quattro panche prima della fine, o inizio – è un po’ come a teatro: i primi posti sono quelli più lontani dall’entrata. Sedette dopo aver notato che niente di interessante si celava nelle due rientranze che nella pianta della costruzione formavano le braccia trasversali, un transetto molto breve, della croce perimetrale. Sulla sinistra alcune panche, sedie e il parallelepipedo di un armonium, nell’altro lato i soliti banchi con inginocchiatoio difronte alla statua policroma di una santa, forse una spanna più alta delle due ai fianchi dell’ingresso.

         L’altare era un blocco di pietra sopraelevato di qualche gradino, dietro ad esso cubi bianchi posti a semicerchio e una sedia marmorea al centro. Se non fosse stato per le alte e strette finestre dai vetri ricoperti di macchie colorate verdi, gialle e blu nel rimando a vetri piombati, la sala sarebbe stata monocroma e vuota. Si guardò intorno: incredibilmente spolglia e algida. Il coro, sopra l’entrata, era un caveau vuoto.

Con sorpresa si accorse dei bassorilievi che segnavano le stazioni della Via Crucis, li notava solo ora, piccoli e scuri com’erano. Un po’ più grandi di una mano, senza eufemismo, perché rappresentavano una mano che emergeva da un piano dai bordi diseguali; una mano con un chiodo, una mano verso il basso, una mano chiusa sulla cimosa di un panno ... L’uomo si alzò e andò nell’altro lato della navata: se vicino a lui c’era la XIV stazione, la prima era intuitivamente nel lato opposto. “Formidabile! – pensò – Solamente il gesto di una mano per ogni momento della tragedia della Via Dolorosa. Super! Sintesi incredibile.” Inciso solo il numero romano. L’uomo ne fu affascinato, e si rammaricava di non ricordare i vari episodi che usualmete sono dipinti. “Cade tre volte ... E c’è il buon samaritano che ... No, non è un samaritano! Geniale.“

         Arrivato alla larga porta a vetri guardò fuori: pioveva, era il luogo appropriato per pensarlo, come Dio la mandava.

         Prese un foglietto sgualcito da una delle mensole, ma era una comunicazione vecchia di settimane. Ritornò a sedersi nello stesso posto soffermandosi ancora ammirato, soddisfatto e incredulo davanti ai bassorilievi bruni delle mani. Altro da vedere non c’era. Con lo sguardo assente ricordò altri acquazzoni ed altre chiese: “Fortuna che ci sono.”- ammise ironicamente. E si rivide intrufolarsi fra i fedeli in una chiesa piena fino alle porte d’ingresso, in un’altra dove per poco non era scivolato nella ripida rampa di gradini che portavano al portale. Il silenzio avvolgente nella penombra di altre; i dipinti, le statue, gli ornati di molte altre ancora ... Beh, non tutte visitate per ripararsi dalla piggia, suvvia! Da una era fuggito, proprio fuggito; per carità, niente di trascendentale: il freddo aveva incominciato a mordergli i piedi nei sandali e a gelargli le braccia nude, insopportabile, ma chi avrebbe immaginato che l’enorme costruzione gotica sarebbe stata una cella frigorifera in quel giugno di sole? Per i coristi in giacca, tutto bene, ma le coriste in abiti scollati?

Si mise a canticchiare, o meglio, a ricordare i vocalizzi di alcuni inni – non gli dispiacevano i canti corali, quelli classici, non le lagne astemie dei colli in fiore e dammi cento lire che ... Ma dove vuoi andare ? Non che i coretti nelle chiese moderne siano migliori, fanno pena, ed è forse questo che vogliono trasmettere: che pena, che pena ... Rise, bassino, brevemente perché gli era venuto un ricordo a doppio binario: il refren d’un canto liturgico parodiato goliardicamente, e la stessa melodia intonata da voci femminili in un falsetto soffocato che, si meravigliò, avevano il loro patos, sì: patos. E si lasciò trasportare dai ricordi sonori che diventarono musica senza rimembranza.

         E il Cristo in croce stava lì. Enorme. Colorato. La croce così massiccia che avrà avuto bisogno di un paio di benne ben potenti per essere issata sulla parete. Un Cristo non proprio sofferente, ma con il sangue che gli colava dalle ginocchia e dal lato destro del petto in lunghe strisce. Da quanto lo stava guardando senza vederelo? Ed ora eccolo lì, oversize per ragioni prospettiche. Chissà se era di legno o gesso. Plastica? Perché no, la chiesa era nuova nuova. Non lo aveva visto, cioè non lo aveva notato, non ci aveva fatto caso; capita. Non con i Cristi, intendo, ma con tutto ciò che siamo abituati a dare per scontato, ad avere già visto, a dare per “conosciuto”; l’abitudine accieca. Quello era un Cristo-in-croce classico moderno, una, diciamolo, usuale banale canonica codificata immagine del Crocefisso, disponibile in ogni formato, grandezza, materiale, tridimensionale o stampata. Un’icona familiare, ovvia.

         La parete bianca e, insolitamente, nessuna apertura che lasciasse entrare luce, unicamente il Cristo policromo, enorme, solo. Sanguinante. Il carminio gli copriva le gambe dalle ginocchia al collo dei piedi sovrapposti e una striscia porpurea dal taglio nel torace fino alla cintola, e sangue cremisi dal foro nel piede e sul palmo delle mani aperte; sulla fronte gocce rosse nascevano dalle spine della corona di rovo. Rosate anche le labbra della bocca semiaperta che avrebbero dovuto essere esangui, se lo si supponeva morto. Un dio, o suo figlio, o una delle tre parti di esso (tanto per non facilitare la comprensione di un ignaro “pagano”), cadavere dal corpo martoriato, era esibito ed esposto alla venerazione, all’adorazione, alla glorificazione. Che impressioni dava a chi lo vedeva per la prima volta? Quale sentimento muoveva? Che impatto in un profano? Lo stesso nostro stupore davanti ad un’enorme statua di Budda sdraiato lungo tutta la lunga parete di un tempio? Lo stesso orrore guardando la dea Kali dalle molte braccia? Lo sgomento per il dio atzeco dal volto scarnificato? O un sorriso ironico di sufficienza come osservando le piccole statuette di divinità africane intagliate in legno nero? Il disagio per la nudità, il sangue, la immaginabile sofferenza, il compiuto assassinio come scorrendo immagini di vittime sacrificali, di uccisioni augurali, di riti cruenti?

         Non che egli si chiedesse tutto questo, semplicemente confrontava l’immagine di questo dio inchiodato alla parete con quelle di altre religioni e fedi; per gli islamici era un bell’impatto traumatico la visita ad una chiesa cattolica con immagini e statue di santi, martiri, cristi, madonne, vergini seminude e angioletti svolazzanti con le pubenda in bella mostra. Ma forse il fascino era proprio questo, cioè assurdo per assurdo, ovvero mistero per mistero, tanto valeva una divinità azzurra con la testa di elefante che un povero cristo morto & risuscitato.

         “Beh, intanto eccoci riparati qui, a casa Sua, Refugium Peccatorum. Veramente è un attributo della sua mamma ... Strano che lì non ci fosse una Maternità; misteri della fede degli amministratori della parrocchia.” Si guardò intorno per accertarsene: no, Maria non c’era, a meno che non fosse quell’involtino nero conico, che gli puzzava di feticcio africano, nella bacheca a destra entrando.

         E continuava a piovere, lo si vedeva attraverso le larghe ma basse porte a vetri. Chi abbisognava di tutto questo? Spazi vuoti dove ripararsi ... dalla pioggia! Perché? Illusioni, conformismo, tremore ... Ebetudine. Non è che disperarsi o gioire dietro ad un pallone calciato da altri sia meglio ... Irrazionalità esplicativa, emotività distruttiva, cecità visionaria. E l’odio, la rabbia, il furore e il terrore, le fobie, la disperazione e i castighi, le torture, le uccisioni. “Gott mit uns” , un dio è sempre con noi, anche se poi sembra proprio che se ne disinteressi, che ci trascuri, che se ne infischi “Eli, Eli, lamà sabactânì!”, ed eccolo qui morto, autosacrificatosi. Adolescenti, ci si chiedeva, ironicamente: “E se lo condannavano all’ergastolo?”

         La panca ha l’asse poggia-ginocchia ribaltabile, è già qualcosa che qui vi siano ancora panconi, in altre chiese vi son sedie, per lo più impilate, in plastica, non le fratine che nella loro semplicità e funzionalità sembrano ideate da un designer; l’articolazione serve per preservare l’inginocchiatoio dalla sporcizia della suola delle scarpe o per rendere più facile la pulizia del pavimento? Od entrambi. Ma la gente ancora si inginocchia? I mussulmani continuano a prostarsi, sul loro tappettino, a piedi nudi; anche i copti si tolgono le calzature e le lasciano fuori la chiesa, ma restano in piedi e gli anziani s’aiutano con una pertica, quasi una stampella, per mantenere la posizione erettta. Ma anche i buddisti e ... Strano, i cristiani sono gli unici a non togliersi le scarpe nell’entrare nella casa di Dio; c’era un santo – Luigi Gonzaga? – come ci raccontavano i catechisti a noi comunicandi, che era tanto pudìco (o timorato di dio o qualcosa del genere) che rifuggiva dal guardarsi i piedi nudi. E il Cristo era lì con i suoi piedi nudi, scarni, lividi sovrapposti e uniti da un chiodo.

         Avvertì che mancava qualcosa nel salone già vuoto e spoglio, o forse fu un ricordo conpulsivo nell’accorgersi che la minuta luce rossastra che brillava davanti al tabernaco, lì di lato sotto la giovane santa, era d’una lampadina elettrica. Mancavano le candele, mancava l’odore della stearina evaporata dei lumini, mancava l’olezzo di ... chiesa!

         Ossignore, non c’era quasi più religione.

         Ma un riparo, dalla pioggia.

 

São Paulo, 20 ottobre 2013.

Giancarlo  Varagnolo

 

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