Rifugio

Giancarlo
Varagnolo
Scrollò il berretto ed entrò; il rumore della pioggia
battente si smorzò un poco. La larga porta di vetro si richiuse da sola,
l’immenso salone era deserto. Guardò le larghe macchie umide scure delle gocce
di pioggia sul petto della camicia e più giù le leggere scarpe estive: ancora
una volta aveva avuto la fortuna di trovare riparo non appena era iniziato a
piovere.
Gli acquazzoni, lo sapeva, duravano dai
venti ai cinquanta minuti, tanto valeva sedersi ed aspettare. Si girò per
vedere cosa contenessero le due mensole ai lati della larga entrata; alcuni
foglietti stazzonati, niente d’interessante da leggere per ridurre l’attesa.
Sopra ad ognuna stavano, in teche di legno protette da un vetro, la stutua di
una Madona avvolta in un mantello nero che la rendeva un cono sormontato da una
corona dorata e, nell’altro lato, un Gesù con la mano indicante il cuore rosso
che gli spuntava al centro del petto. Non molto grandi e ben conservate. Si
mosse, lungo il corridoio laterare, verso il fondo della chiesa; sedette un
quattro panche prima della fine, o inizio – è un po’ come a teatro: i primi
posti sono quelli più lontani dall’entrata. Sedette dopo aver notato che niente
di interessante si celava nelle due rientranze che nella pianta della
costruzione formavano le braccia trasversali, un transetto molto breve, della
croce perimetrale. Sulla sinistra alcune panche, sedie e il parallelepipedo di
un armonium, nell’altro lato i soliti banchi con inginocchiatoio difronte alla
statua policroma di una santa, forse una spanna più alta delle due ai fianchi
dell’ingresso.
L’altare era un blocco di pietra
sopraelevato di qualche gradino, dietro ad esso cubi bianchi posti a
semicerchio e una sedia marmorea al centro. Se non fosse stato per le alte e
strette finestre dai vetri ricoperti di macchie colorate verdi, gialle e blu
nel rimando a vetri piombati, la sala sarebbe stata monocroma e vuota. Si
guardò intorno: incredibilmente spolglia e algida. Il coro, sopra l’entrata,
era un caveau vuoto.
Con sorpresa si accorse dei bassorilievi che segnavano le stazioni della
Via Crucis, li notava solo ora, piccoli e scuri com’erano. Un po’ più grandi di
una mano, senza eufemismo, perché rappresentavano una mano che emergeva da un
piano dai bordi diseguali; una mano con un chiodo, una mano verso il basso, una
mano chiusa sulla cimosa di un panno ... L’uomo si alzò e andò nell’altro lato
della navata: se vicino a lui c’era la XIV stazione, la prima era
intuitivamente nel lato opposto. “Formidabile! – pensò – Solamente il gesto di
una mano per ogni momento della tragedia della Via Dolorosa. Super! Sintesi
incredibile.” Inciso solo il numero romano. L’uomo ne fu affascinato, e si
rammaricava di non ricordare i vari episodi che usualmete sono dipinti. “Cade
tre volte ... E c’è il buon samaritano che ... No, non è un samaritano!
Geniale.“
Arrivato alla larga porta a vetri
guardò fuori: pioveva, era il luogo appropriato per pensarlo, come Dio la
mandava.
Prese un foglietto sgualcito da una
delle mensole, ma era una comunicazione vecchia di settimane. Ritornò a sedersi
nello stesso posto soffermandosi ancora ammirato, soddisfatto e incredulo
davanti ai bassorilievi bruni delle mani. Altro da vedere non c’era. Con lo
sguardo assente ricordò altri acquazzoni ed altre chiese: “Fortuna che ci sono.”-
ammise ironicamente. E si rivide intrufolarsi fra i fedeli in una chiesa piena
fino alle porte d’ingresso, in un’altra dove per poco non era scivolato nella
ripida rampa di gradini che portavano al portale. Il silenzio avvolgente nella
penombra di altre; i dipinti, le statue, gli ornati di molte altre ancora ...
Beh, non tutte visitate per ripararsi dalla piggia, suvvia! Da una era fuggito,
proprio fuggito; per carità, niente di trascendentale: il freddo aveva
incominciato a mordergli i piedi nei sandali e a gelargli le braccia nude,
insopportabile, ma chi avrebbe immaginato che l’enorme costruzione gotica
sarebbe stata una cella frigorifera in quel giugno di sole? Per i coristi in
giacca, tutto bene, ma le coriste in abiti scollati?
Si mise a canticchiare, o meglio, a ricordare i vocalizzi di alcuni inni –
non gli dispiacevano i canti corali, quelli classici, non le lagne astemie dei colli in fiore e dammi cento lire che ... Ma dove vuoi andare ? Non che i coretti nelle chiese moderne siano migliori,
fanno pena, ed è forse questo che vogliono trasmettere: che pena, che pena ... Rise, bassino, brevemente perché gli era
venuto un ricordo a doppio binario: il refren d’un canto liturgico parodiato
goliardicamente, e la stessa melodia intonata da voci femminili in un falsetto
soffocato che, si meravigliò, avevano il loro patos, sì: patos. E si lasciò
trasportare dai ricordi sonori che diventarono musica senza rimembranza.
E il Cristo in croce stava lì. Enorme.
Colorato. La croce così massiccia che avrà avuto bisogno di un paio di benne
ben potenti per essere issata sulla parete. Un Cristo non proprio sofferente,
ma con il sangue che gli colava dalle ginocchia e dal lato destro del petto in
lunghe strisce. Da quanto lo stava guardando senza vederelo? Ed ora eccolo lì, oversize per ragioni prospettiche.
Chissà se era di legno o gesso. Plastica? Perché no, la chiesa era nuova nuova.
Non lo aveva visto, cioè non lo aveva notato, non ci aveva fatto caso; capita.
Non con i Cristi, intendo, ma con tutto ciò che siamo abituati a dare per
scontato, ad avere già visto, a dare per “conosciuto”; l’abitudine accieca. Quello era un Cristo-in-croce classico
moderno, una, diciamolo, usuale banale canonica codificata immagine del
Crocefisso, disponibile in ogni formato, grandezza, materiale, tridimensionale
o stampata. Un’icona familiare, ovvia.
La parete bianca e, insolitamente,
nessuna apertura che lasciasse entrare luce, unicamente il Cristo policromo,
enorme, solo. Sanguinante. Il carminio gli copriva le gambe dalle ginocchia al
collo dei piedi sovrapposti e una striscia porpurea dal taglio nel torace fino
alla cintola, e sangue cremisi dal foro nel piede e sul palmo delle mani
aperte; sulla fronte gocce rosse nascevano dalle spine della corona di rovo.
Rosate anche le labbra della bocca semiaperta che avrebbero dovuto essere
esangui, se lo si supponeva morto. Un dio, o suo figlio, o una delle tre parti
di esso (tanto per non facilitare la comprensione di un ignaro “pagano”),
cadavere dal corpo martoriato, era esibito ed esposto alla venerazione,
all’adorazione, alla glorificazione. Che impressioni dava a chi lo vedeva per
la prima volta? Quale sentimento muoveva? Che impatto in un profano? Lo stesso
nostro stupore davanti ad un’enorme statua di Budda sdraiato lungo tutta la
lunga parete di un tempio? Lo stesso orrore guardando la dea Kali dalle molte braccia? Lo sgomento per il dio atzeco
dal volto scarnificato? O un sorriso ironico di sufficienza come osservando le
piccole statuette di divinità africane intagliate in legno nero? Il disagio per
la nudità, il sangue, la immaginabile sofferenza, il compiuto assassinio come
scorrendo immagini di vittime sacrificali, di uccisioni augurali, di riti
cruenti?
Non che egli si chiedesse tutto questo,
semplicemente confrontava l’immagine di questo dio inchiodato alla parete con
quelle di altre religioni e fedi; per gli islamici era un bell’impatto
traumatico la visita ad una chiesa cattolica con immagini e statue di santi,
martiri, cristi, madonne, vergini seminude e angioletti svolazzanti con le
pubenda in bella mostra. Ma forse il fascino era proprio questo, cioè assurdo per
assurdo, ovvero mistero per mistero, tanto valeva una divinità azzurra con la
testa di elefante che un povero cristo
morto & risuscitato.
“Beh, intanto eccoci riparati qui, a
casa Sua, Refugium Peccatorum.
Veramente è un attributo della sua mamma ... Strano che lì non ci fosse una
Maternità; misteri della fede degli amministratori della parrocchia.” Si guardò
intorno per accertarsene: no, Maria non c’era, a meno che non fosse quell’involtino
nero conico, che gli puzzava di feticcio africano, nella bacheca a destra
entrando.
E continuava a piovere, lo si vedeva
attraverso le larghe ma basse porte a vetri. Chi abbisognava di tutto questo? Spazi
vuoti dove ripararsi ... dalla pioggia! Perché? Illusioni, conformismo, tremore ... Ebetudine. Non è che
disperarsi o gioire dietro ad un pallone calciato da altri sia meglio ...
Irrazionalità esplicativa, emotività distruttiva, cecità visionaria. E l’odio,
la rabbia, il furore e il terrore, le fobie, la disperazione e i castighi, le
torture, le uccisioni. “Gott mit uns” ,
un dio è sempre con noi, anche se poi sembra proprio che se ne disinteressi,
che ci trascuri, che se ne infischi “Eli,
Eli, lamà sabactânì!”, ed eccolo qui morto, autosacrificatosi. Adolescenti,
ci si chiedeva, ironicamente: “E se lo condannavano all’ergastolo?”
La panca ha l’asse poggia-ginocchia
ribaltabile, è già qualcosa che qui vi siano ancora panconi, in altre chiese vi
son sedie, per lo più impilate, in plastica, non le fratine che nella loro semplicità e funzionalità sembrano ideate da
un designer; l’articolazione serve per preservare l’inginocchiatoio dalla
sporcizia della suola delle scarpe o per rendere più facile la pulizia del
pavimento? Od entrambi. Ma la gente ancora si inginocchia? I mussulmani
continuano a prostarsi, sul loro tappettino, a piedi nudi; anche i copti si
tolgono le calzature e le lasciano fuori la chiesa, ma restano in piedi e gli
anziani s’aiutano con una pertica, quasi una stampella, per mantenere la
posizione erettta. Ma anche i buddisti e ... Strano, i cristiani sono gli unici
a non togliersi le scarpe nell’entrare nella casa di Dio; c’era un santo –
Luigi Gonzaga? – come ci raccontavano i catechisti a noi comunicandi, che era
tanto pudìco (o timorato di dio o qualcosa del genere) che rifuggiva dal
guardarsi i piedi nudi. E il Cristo era lì con i suoi piedi nudi, scarni,
lividi sovrapposti e uniti da un chiodo.
Avvertì che mancava qualcosa nel salone
già vuoto e spoglio, o forse fu un ricordo conpulsivo nell’accorgersi che la
minuta luce rossastra che brillava davanti al tabernaco, lì di lato sotto la
giovane santa, era d’una lampadina elettrica. Mancavano le candele, mancava l’odore
della stearina evaporata dei lumini, mancava l’olezzo di ... chiesa!
Ossignore, non c’era quasi più religione.
Ma un riparo, dalla pioggia.
São Paulo, 20 ottobre 2013.
Giancarlo
Varagnolo
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