em Santo Anastácio, SP,
LA MUNEGA MATA.
[si deve vedere solo il viso, ma non necessariamente a causa del soggolo]
Bene, Ora posso parlare, finalmente, senza timoreche qualcuno mi interrompa, ridendo di me o peggio. Nessuno può farmo fuggire, ora; nessuno può insultarmi; nessuno può tirarmi dietro torsoli di cavolo o colpirmi con zolle di terra arse dal sole. Nessuno di voi ch'io vedo e posso io ora spiarvi, ghermirvi, farvi sussultare come voi facevate. Voi tutti´poiché non è colpevole meramente la mano che colpisce o la bocca da cui proviene l'ingiuria, l'offesa, ma chi ne gode, sghignazza e ride. Ma maggior peccato lo compie chi fa finta di non vedere e s'astiene - gli ignavi, gli inetti, i vili. E nell'imo chi vedendo, sentendo, sapendo e talora potendo, nulla dice e fa perché lo scempio, la tortura, la cattiveria, la beffa cessi. Posso spiarvi, ho detto, ma mi correggo: potrei, cioè ho la possibilità di "ficcare il naso", come banalmente vi esprimete voi, , nei vostri momenti segreti, nei posti dove vi credete sicuri, salvi da occhi indiscreti. Potrei, questo è una recente nuova acquisizione, leggervi dentro, léggere nel vostro cuore, vedere i vostri pensieri. Come ci si sente ad essere braccati, come io ero? Come ci si sente in balia dell'umore di uno molto più forte di voi? Paura, angoscia; terrore. Stato confusionale; monomania; psicosi persecutoria. Follia. La "munega mata" così ero per voi, quando vivevo fra voi, nei miasmi del vostro mondo.. Sarebbe da applicare la biblica legge del taglione "occhio per occhio, ...", ma sono monaca cristiana ed ora che l'adrenalina dello stato ansiogeno di bestia braccata - per voi non ero un essere umano, nevvero? - s'è disperso, posso con serenità perdonare a voi che non sapevate quello che facevate, il perché lo facevate, come Qualcuno fece prima di me. E poi del vostro mondo, delle vostre beghe, delle vostre passioni, dei vostri rancori, delle vostre illusioni e tormenti banali già mi staccai ancor prima che voi mi dichiaraste, vox polpulis, matta. Dove sono ... So che vorreste sapere dove sono, ora. Ma se mi avete reputata pazza fino a questo momento, che cosa mai v'indurrebbe a credere che non sto dicendo altre corbellerie, grullerie, boiate, insulsaggini risibili? Perché uso un parlare forbito da rétore, e termini da sapiente, e .... E invece prima ....Ecco la vostra ignoranza , frutto dell'intolleranza, dell'arroganza e, guardate dentro voi stessi, della paura. Voi non volevate ascoltarmi, non ch'io avessi molto desiderio di parlare a tutti voi. Voi non volevate ammettere che qualcuno dicesse cose diverse dal vostro confabulare, avevate paura che il vostro mondo crollasse. Avevate ... avete ora, e sempre, oggi e domani e domani. Perdonatemi, non voglio ricordarvi la vostra paura globale - sì, perché ne avete di paure: piccole, medie, grandi, parcellizzate, micromega. Non sono qui per spaventare alcuno, ma semplicemente, banalmente, per fare una chiacchierata, anzi, toh, che vi concedo - sono buona, neh, ma non santa [risatina] - uno sproloquio o vaniloquio o soliloquio, chiamatelo come volete, comunque senza interruzzioni. Perché io avrei voluto parlare e dire le cose anche a voi. Sì, perché le ho dette e ripetute, oh, quanto ho chiacchierato con la luna, e gli insetti, e le foglie e i fiori, e s'è disperso, posso con serenità perdonare a voi che non sapevate quello che facevate, il perché lo facevate, come Qualcuno fece prima di me. E poi del vostro mondo, delle vostre beghe, delle vostre passioni, dei vostri rancori, delle vostre illusioni e tormenti banali già mi staccai ancor prima che voi mi dichiaraste, vox polpulis, matta. Dove sono ... So che vorreste sapere dove sono, ora. Ma se mi avete reputata pazza fino a questo momento, che cosa mai v'indurrebbe a credere che non sto dicendo altre corbellerie, grullerie, boiate, insulsaggini risibili? Perché uso un parlare forbito da rétore, e termini da sapiente, e .... E invece prima ....Ecco la vostra ignoranza , frutto dell'intolleranza, dell'arroganza e, guardate dentro voi stessi, della paura. Voi non volevate ascoltarmi, non ch'io avessi molto desiderio di parlare a tutti voi. Voi non volevate ammettere che qualcuno dicesse cose diverse dal vostro confabulare, avevate paura che il vostro mondo crollasse. Avevate ... avete ora, e sempre, oggi e domani e domani. Perdonatemi, non voglio ricordarvi la vostra paura globale - sì, perché ne avete di paure: piccole, medie, grandi, parcellizzate, micromega. Non sono qui per spaventare alcuno, ma semplicemente, banalmente, per fare una chiacchierata, anzi, toh, che vi concedo - sono buona, neh, ma non santa [risatina] - uno sproloquio o vaniloquio o soliloquio, chiamatelo come volete, comunque senza interruzzioni. Perché io avrei voluto parlare e dire le cose anche a voi. Sì, perché le ho dette e ripetute, oh, quanto ho chiacchierato con la luna, e gli insetti, e le foglie e i fiori, e come loro parlavano a me come i cocci di piatti o fornelli in terracotta di pipe annerite dal fumo; e i sassi lisci lisci, caldi nel sole da appoggiare alla guancia. Le lucertole nell'estate, la farinosa brina nell'inverno che ti pizzica la punta delle dita. Il vento è un po' brontolone e le rondini all'imbrunire creano un bel po' di interferenza parlando tutte insieme intrecciando voli e messaggi. Oh, se parlavo; e come mi capivano. Ero "matta" per questo, no? Noi, voi ed io, non ci comprendavamo; voi non volevate comunicare, le vostre parole erano tuoni, boati, sassi verbali lanciati per allontanarmi, ed io imparavo a tacere perché le parole che conoscevo, poca cosa, non erano da voi nemmeno intese. A me piace parlare, emettere suoni, modulare la voce, sentire echeggiare nel silenzio, che non è mai tale, le mie lalllazioni; e cantavo, più fonemi che parole, più melodia che frasi, non perché non sapessi che dire, ma perché già il canto è gioia, allegria, spensieratezza, che mai aggiungere in più? Talvolta era una nenia triste per dare conforto ad una lucertola schiacciata dalla ruota di un carro, o un passerotto morto per il freddo, o il gabbiano abbattuto da un sasso; e i cani ulcerosi, piagati, cimurrosi che venivano a cercare fra i campi un posto ove morire, almeno morire in pace. Ah, ma c'erano le farfalle da inseguire, le tele di ragno da ammirare, le more sul finire dell'estate e i denti-di-leone! Soffi e pfff i semini volano nell'aria come goccioline di pioggia esitanti nel procedere. Pufff, prendono vita autonoma queste piccole creature nello spazio dorato dal sole. Che divertimento! Talvolta mi rincresceva strappare il fiore dalla pianta, mi sentivo un pochino in colpa per recidere così la così la loro esistenza, ma è cosi esaltante vederli volare tutti insieme improvvisamente! E poi, prima o poi ... Il bello più bello è l’attimo eccitante che sei li li per soffiare e ... soffi! E volano, si disperdono, nel sole. Quando piove ... bisogna trovare um posto per essere bem riparati e stare all’asciutto, poi: è bella anche la pioggia. E i temporali com i loro tuoni lampi saette. [conta sulle dita] Uno, due, ter, quattro ... creak-bum! Non abbastanza distante, ma nemmeno troppo vicino. Non che sapessi contare, allora, ma era come um toccare, mentale, um fiore dopo l’altro, o mangiare uma mora dopo l’altra, o far muovere le dita una dopo l’altra a toccarsi o premere sul pollice. Imparai a schioccarle anche, cosi [esegue], destra, sinistra, destra destra, sinistra sinistra [altre variazioni]; e sulle guance, cosi, ma piano, perché altrimentifa male e lascia tutto un segno rosso qui. O viola. Donne che piangevano accasciate fra lê stoppie, sole, disperate, non che sapessi la parola, il perché, che fosse, ma giardandole di nascosto e sentendo i loro singhiozzi, venivano anche a me lê lacrime agli occhi e um tramestio nel petto. Avrei fatto qualcosa, avrei voluto fare qualcosa perché lei ed io non piangessimo, ma dovevo restarmene muta e lontana, non vista, per non farle fuggire: avevano paura di me quase fossi uma bestia feroce, um lupo o um biscio repellente e non uma donna come loro, maltrattata quanto e più di loro. Erro la matta da cui non poteva venire che male, mentre daí savi mariti, padri, figli, amanti ... Dal disgusto erro io a correre lontano quando m’imbattevo nel viluppo della coppia fornicanti o ne udivo lê voci, lê grida, i gemiti di quella che io prima pensava una lotta e poi non chiaramente, confusa, apprenddei ch'era l'unirsi dei generi come i cani latranti nella stagione dell'accoppiamento, e i gatti dai miagolii stridenti, e le anatre sguazzanti a pelo d'acqua ... E uomini con uomini vidi, ed ora so che è peccato contronatura. Ora so della vostra lascivia, della vostra lussuria, delle vostre foie, delle vostre brame e invidie; dei vostri peccati. Ora so dell'immondo che si cela in voi che come vermi esce dal vostro corpo quando quel poco di spirito che è in voi vi lascia, e carogne brulicanti d'altra vita, come vidi, marciscenti nei campi. Ora so, e questa conoscenza duole e pesa, rattrista e infastidisce, condanna e commisera. Così lontani da me, dal mio cuore, i mali del Mondo erano allora, candida ingenua assopita "munega mata", allontanata e preclusa - per quali colpe? - alle miserie della comunità umana. Non fu la mia omissione, non fu fuga, non fu rinuncia né ignavia. Caprio espiatorio cacciato a sassate concrete, contundenti, fuori dalla città, prima ancora che discernessi il male dal bne o, meglio, poiché non m'era dato di vedere il Maligno, la malvagità, l'ipocrisia, la bruttura del vostro vivere quotidiano. Vostro? Divenne anche il mio: di riflesso, per contiguità, per contaminazione. La paura, che domina il mondo, che sovrasta la vostra vita, che pregiudica i vostri rapporti; la paura che vi rende agressivi, vigliaccamente arrogantri, presuntuosi diffidenti, e sempre, sempre insicuri di tutti voi stessi, gli altri, l'oggi e il domani. Paura di morire e talora di vivere; paura che diventa sottomissione, rasseganzione, atonia; cecità e sordità; morte prima della morte. La paura che è in voi, questo lezzo prettamente umano, me l'avete fatto conoscere voi, l'ho inalato e ho dovuto fuggire perché il dolore è cosa viva, reale, presente, innegabile e lo si può sopportare fino a morire, ma io volevo vivere perché avevo diritto alla vita, alla mia vita. Certo, allora non sapevo di tutto questo, ma era in me la sapienza, e la volontà di continuare ad essere io, me-stessa, sulla Terra. "Io", "me-stessa": questo lo posso dire ora, non che prima fossi un'altra, ma avevo conoscenza che questa era la mia mano, questa la mia spalla; non credo di aver mai pensato a me come un tutto, anzi posso dire di non aver nemmeno pensato se pensare significa elaborare frasi, comporle in iddee, trarre conclusioni e servirsene argomentando. Era bello avere pensieri come nubi che cambiavano di forma e posizione ed attrattiva senza lacun presupposto o volontà. Se si pensa poco, se proprio non si usa l'elucubrazione ma i fatti, gli accadimenti, il dato si accettano così come sono, si arriva ad un accomodamento del comportamento in funzione di quella realtà più o meno nuova, recentemente sperimentata, ritenendo l'esperienza ma non le inferenze emotive. Ups. Mi sa che qualcuno ora penserà che sono definitivamente, ineccepibilmemte, completamente matta, o comunque molto più matta di prima. La persona diciamo così "sana" che fa, per esempio, nel caso le tirino una pietra? Già mentre la vede arrivare e prima ancora di schivarla si chiede:"A me? Perché? Da chi?", e ovviamente un'esclamazione più o meno colorita in ralazione a status sociale, culturale, economico e geografico. "Sorbole! Piovono sassi." non denota la stessa personalità di "A li mortacci!...". Voi mi tiravate i sassi, e io vi guardavo senza chiedermi perché, meramente cercando di capire che stava accadendo, di legare consequenzialmente le azioni. Tutti apprendono in questo modo. Così imparai, sulla mia pelle, a prevedere tutta la concatenazione di gesti che si sarebbe conclusa con il lancio di una pietra o un insulto, quindi allontanarsi il più possibile e in fretta. Voi vi chiedete perc`é il fuoco brucia o perché la pioggia vi bagna e perché cada in quel momento? State alla larga dalle fiamme e al più, per la pioggia, cercate di interpretare i segni nel cielo. Non mi chiedevo la ragione, neanche quando erano ragazzini a venire in cerca di me per importunarmi. Erano i piccoli figli dell'Uomo che venivano anche loro, come i padri, a sfogare il proprio rancore di essere vivi, di aver dovuto sopportare, lottare, inghiottire amaro, logorarsi in un'altra giornata. La rabbia in corpo dell'insoddisfazione, il tarlo della rivalsa; scimmiottavano pedissequamente il fare degli adulti. È così che si creano le abitudini dei popoli; è così che si lega il popolo con il medesimo abominio e le condivise efferatezze. Guardavo, all'inizio, e non capivo, cioè mi metteva a disagio quel loro picchiarsi a sangue tra di loro, fino a piangere o rimanere inerti al suolo o riandare zoppicando o curvi e laceri. Perché tanta crudeltà? perché tanto rancore? perché tanta violenza? perché tanto spregio? Angariavano cani, martirizzavano rane, annegavano gatti, crocefiggevano gabbiani, bruciavano pipistrelli, poi, grandi, avfrebbero applaudito alle impiccagioni, maltrattato le mogli, picchiato i figli e ucciso sconosciuti non appena fosse stato loro legalmente ordinato e permesso. Ed io passavo giornate intere, dimenticandomi di mangiare, e talvolta di fare pipì, presa com'ero felice nel guardare i mici rincorrersi e giocare, i piccoli giovani cani che fingevano di mordersi facendo la voce rauca; che salti, che guizzi, che capitomboli e rotolamenti fra l'erba, e qualche zampata delle madri infastidite quando venivano coinvolte, loro malgrado, per caso, nelle zuffe. Non sangue, non ferite, non tumefazioni, non rancori. Qualche uccello, sì, ci lasciava le penne, come si suol dire, ma era cibo e non vittima sacrificale di indemoniati figli di Adamo. Anch'io, d'altronde, mangiavo gallina, e pezzetti di carne di bue, e maiale e capretto e qualche pesce e le cozze. Mangiavo quando capitava, e quando diventai "munega". Era ovvio, logico, che fossi accolta in una comunità religiosa, sia per salvare la mia anima sia, e forse più, per salvare il mio corpo: qualcuno avrebbe approfittato di me, mi avrebbe violentata in un momento di foia accresciuta dal vino o in una scorribanda fatta per scommessa, per giuoco di giovani scioperati che in alcuni luoghi non rispettavano nemmeno i conventi ed erano coperti dall'impunità del denaro o della nobiltà. Con il denaro comprate tutto, credete di poter ottenere tutto, invece più avete e più vi allontanate dalla felicità, vi costruite una prigione, non sempre confortevole, dove languite soli e svuotati d'ogni tenerezza. Anche fra le monache ce n'erano parecchie di tal fatta: altere, mestatrici, avide ... Non che lo sapessi, allora, ma capii istintivamente che anche lì c'erano persone da evitare. E fui per tutta la mia vita semplice novizia o postulante, non mi giudicaroni mai degna di alcun avanzamento; progtredii nel comportamento benchè alcune regole, ora lom vedo chiaramente, le addottassi più per non essere rimbrottata che per convincimento. Appresi anche la lettura, sì. Questo non lo sapevate, neh, che sapessi leggere, e scrivere, anche; matta non è stupida, anzi la pazzia talvolta è un'intelligenza più grande, un capire superiore. Non sto parlando di me, ché commetterei peccato di superbia e presunzione. Ora so un bel po' di cose - dovrei dire che sono onniscente, ma so che non mi credereste. Non che questo mi abbia apportato più saggezza o, che ne so, serenità; non posso nemmeno dire ch'era meglio prima quando nella mia ignoranza tutto mi appariva fantastico. Ecco, fantastico nel senso che era lì reale e tutto intero, era un'emozione: la goccia di rugiada, il sole, il passero, il vento; sapere di come si forma quella gocciolina e che è idrogeno e ..., è diverso; sciocco dire: meglio/peggio. Di fatto, questo tenetelo a mente, le conoscenze acquisite sono per sempre; al più possono sbiadire. Così leggevo, in tre, quattro modi fiversi; non dico intonazione, o analisi del testo, no, sarebbe stato troppo per me, benché mi riuscisse molto bene di imitare la cadenza di alcune sorelle lettrici così che poi, molto tardi, però, mi fecero leggere le lunghe storie edificanti nell'ora del pranzo. Letture che per me erano solo suoni: non capivo quel che pur leggevo così passionatamente; le singole parole avevano un referente ma il significato della loro concatenazione mi sfuggiva. Ecco che allora rileggevo, ma non arrivavo a ritenere e unire i significati delle frasi; lasciai perdere ben presto e mi facevo raccontare quel che avevo letto da qualche sorella. E non sempre, comunque, capivo il perché qualcosa accadeva, perché di certe scelte, anche di singole dichiarazioni, non comprendevo il senso letterario e il comportamento pratico: perché qualche santo chiedeva per sè sofferenza? perché gente buona si dichiarava indegna? Così ascoltavo le spiegazioni, i racconti, le prediche come ascoltavo il vento e il mare e gli uccelli cantare, le cicale frinire: per mio diletto, e il guardare la pagina d'un libro era come spiare fra l'erba o far scorrere la sabbia fra le dita; le maiuscole erano i segni più carini, quelle a inizio di capitolo in alcuni libri mi incantavano e le guardavo e rimiravo come fossero foglie o fiori o farfalle o cagnetti a paciall'aria che si fan grattare la pancia.
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