Gincarlo
Varagnolo
Le
piccole piogge.
Piove.
Sta
piovendo o inizia a piovere non rende l'idea: al Tropico solo le
prime grosse gocce, in volata, annunciano il gruppo, lo scroscio in
arrivo da lì a pochi attimi, e piove come se improvvisamente si sia
aperto abbondantemente il rubinetto della doccia – un'annaffiata
forte, dura, improvvisa che dura un'ora o poco meno in gocce grosse e
battenti.
L'ombrello?
Riparo risibile ché il pulviscolo attraversa il tessuto e nemmeno
testa e spalle rimangono all'asciutto, mentre gli schizzi inzuppa
fino alle ginocchia e l'inclinazione della caduta dell'acqua
infradicia il resto del corpo.
E
non ci sono portici né tanto meno androni di porte o sporgenze in
queste strade use all'abbacinante sole a picco; nelle zone centrali
un bar o un negozietto lo trovi per rifugio, non in vie residenziali.
Così
ci affretta un poco, si sosta addossati ad un muro inadeguato riparo
surrettizio, panaceo.
La
meta non è lontana ma sarebbe come attraversare un fiume. Anzi: ecco
che già si forma uno o due ruscelli d'acqua ancora chiara nelle vie
– che qui sono in pendenza.
Uno
slargo: una piazzetta; un
riparo: la
salvezza. Vi è parcheggiato un furgoncino a tre ruote (quello che in
Italia si conosce come Ape), non è del tipo chiuso in lamierino
bensì con il pianale protetto da un telo cerato, il lato posteriore
senza tenda, e vuoto.
Salgo;
non
senza sforzo anche perché
ho una mano impacciata da due libri che sto andando a riconsegnare.
Irrorato di pioggia, ma ora al riparo.
Il cubicolo è piccolo e
basso: ci si può sedere e allungare le gambe però si deve stare
accucciati (ed evitare di toccare le pareti del rivestimento: nelle
tende da campeggio si aveva questa precauzione per non far gocciolare
acqua).
L'apertura è di sghembo
verso la strada così vedo man mano l'ingrossarsi di quello che ormai
è un torrentello che scorre sulla strada parallela allo spiazzo:
scorre veloce ed ha ora l'acqua ha un color nocciola chiaro.
Tento di star seduto sui
talloni come sono usi tutti qui: non resisto che pochi minuti
ricavandone dolori ale gambe, e allora … sporchiamoci le braghe.
Ma non mantengo molto
questa comoda posizione ché ci sono rivoletti d'acqua piovana che si
vanno strada sul pavimento, e devo stare sui piedi ingobbito per non
bagnarmi natiche e gambe.
Vedo che l'inclinazione
della caduta della pioggia cambia e dopo un poco entra dal lato
aperto. Fortuna che non c'è vento, ma devo comunque rinculare verso
il fondo del cubicolo, il che non mi salva dagli schizzi delle
gocciolone martellanti sul ripiano dell'entrata.
Per
il poco che so (cosa insegno Geografia a fare?) l'acquazzone è al
suo termine quando l'angolo di caduta delle gocce è nella direzione
opposta al suo inizio, con una rotazione quasi completa. Attendo che
l'inclinazione si sposti anche se ormai il pianale è bagnato. Però
sta girando e quindi si sta muovendo e … non ho l'orologio (con il
caldo dà fastidio al polso) ma non dovrebbe mancare molto alla fine.
E comincio a canticchiare.
Peana di vittoria per la scampata abluzione? Anche, forse; credo che
siano ricordanze che rimandano a immagini che rimandano a canzoni
quasi leit-motiv di situazioni analoghe inusuali e/o di “scampato
pericolo”.
Non è passato nessuno.
Nessun rumore se non il concerto per pioggia battente sul telo, sulla
cabina di metallo, sul selciato. Probabilmente c'è il
rumore (basso continuo)
dell'acqua torrentizia che scorre con notevoli increspature.
Canto qualcosa di ballabile
giusto per accompagnare lo stiracchiare delle ginocchia schiena gambe
intorpidite-dolenti. Dai che fra poco si va!
Sta sfumando?
Come sempre qui ai Tropici
il sole se ne esce splendente come prima non appena la cortina, il
sipario, della pioggia è tirato via.
Ecco, si scende e si va.
Nel sole.
Clugia
minor, 18 marzo 2020.
GV
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