lunedì 20 luglio 2020

Le piccole piogge.


Gincarlo Varagnolo
Le piccole piogge.

Piove.
Sta piovendo o inizia a piovere non rende l'idea: al Tropico solo le prime grosse gocce, in volata, annunciano il gruppo, lo scroscio in arrivo da lì a pochi attimi, e piove come se improvvisamente si sia aperto abbondantemente il rubinetto della doccia – un'annaffiata forte, dura, improvvisa che dura un'ora o poco meno in gocce grosse e battenti.
L'ombrello? Riparo risibile ché il pulviscolo attraversa il tessuto e nemmeno testa e spalle rimangono all'asciutto, mentre gli schizzi inzuppa fino alle ginocchia e l'inclinazione della caduta dell'acqua infradicia il resto del corpo.
E non ci sono portici né tanto meno androni di porte o sporgenze in queste strade use all'abbacinante sole a picco; nelle zone centrali un bar o un negozietto lo trovi per rifugio, non in vie residenziali.
Così ci affretta un poco, si sosta addossati ad un muro inadeguato riparo surrettizio, panaceo.
La meta non è lontana ma sarebbe come attraversare un fiume. Anzi: ecco che già si forma uno o due ruscelli d'acqua ancora chiara nelle vie – che qui sono in pendenza.
Uno slargo: una piazzetta; un riparo: la salvezza. Vi è parcheggiato un furgoncino a tre ruote (quello che in Italia si conosce come Ape), non è del tipo chiuso in lamierino bensì con il pianale protetto da un telo cerato, il lato posteriore senza tenda, e vuoto.
Salgo; non senza sforzo anche perché ho una mano impacciata da due libri che sto andando a riconsegnare. Irrorato di pioggia, ma ora al riparo.
Il cubicolo è piccolo e basso: ci si può sedere e allungare le gambe però si deve stare accucciati (ed evitare di toccare le pareti del rivestimento: nelle tende da campeggio si aveva questa precauzione per non far gocciolare acqua).
L'apertura è di sghembo verso la strada così vedo man mano l'ingrossarsi di quello che ormai è un torrentello che scorre sulla strada parallela allo spiazzo: scorre veloce ed ha ora l'acqua ha un color nocciola chiaro.
Tento di star seduto sui talloni come sono usi tutti qui: non resisto che pochi minuti ricavandone dolori ale gambe, e allora … sporchiamoci le braghe.
Ma non mantengo molto questa comoda posizione ché ci sono rivoletti d'acqua piovana che si vanno strada sul pavimento, e devo stare sui piedi ingobbito per non bagnarmi natiche e gambe.
Vedo che l'inclinazione della caduta della pioggia cambia e dopo un poco entra dal lato aperto. Fortuna che non c'è vento, ma devo comunque rinculare verso il fondo del cubicolo, il che non mi salva dagli schizzi delle gocciolone martellanti sul ripiano dell'entrata.
Per il poco che so (cosa insegno Geografia a fare?) l'acquazzone è al suo termine quando l'angolo di caduta delle gocce è nella direzione opposta al suo inizio, con una rotazione quasi completa. Attendo che l'inclinazione si sposti anche se ormai il pianale è bagnato. Però sta girando e quindi si sta muovendo e … non ho l'orologio (con il caldo dà fastidio al polso) ma non dovrebbe mancare molto alla fine.
E comincio a canticchiare. Peana di vittoria per la scampata abluzione? Anche, forse; credo che siano ricordanze che rimandano a immagini che rimandano a canzoni quasi leit-motiv di situazioni analoghe inusuali e/o di “scampato pericolo”.
Non è passato nessuno. Nessun rumore se non il concerto per pioggia battente sul telo, sulla cabina di metallo, sul selciato. Probabilmente c'è il
rumore (basso continuo) dell'acqua torrentizia che scorre con notevoli increspature.
Canto qualcosa di ballabile giusto per accompagnare lo stiracchiare delle ginocchia schiena gambe intorpidite-dolenti. Dai che fra poco si va!
Sta sfumando?
Come sempre qui ai Tropici il sole se ne esce splendente come prima non appena la cortina, il sipario, della pioggia è tirato via.
Ecco, si scende e si va.
Nel sole.

Clugia minor, 18 marzo 2020.
GV

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