martedì 7 novembre 2017

Ombrelloni a spicchi.

Giancarlo Varagnolo
Ombrelloni a spicchi bianchi e blu
Talvolta ci si sveglia stanchi, stanchi della vita. Nulla di drammatico perché è una stanchezza dovuta alla noia che dà la ripetitività del vivere quotidiano: le solite cose da fare, il solito tran-tram che comprende una sequenza, limitata, di azioni e la possibilità latente ma presente, questa sì infinita, inimmaginabile, di seccature, intoppi, noie appunto. E fuori c'è il sole, oggi; nel senso (visto che l'atteggiamento nella constatazione della giornata soleggiata dovrebb'essere anche questo di tedio) che il bel tempo non aiuta a mitigare questa non-gioia d'un nuovo (nel senso stretto di data) giorno, anzi! perché se piovesse o tirasse vento o ... no, la neve è un'altra cosa; beh, insomma, se il tempo atmosferico è brutto, uno si sente compreso, quasi rassicurato da questa sintonia, empatia, fra fuori (piove!) e dentro ("come mi sento frustrato.").
Il sole, di riflesso obliquo, illumina la stanza, la 312.
Fortuna che ieri notte sono andato a letto tardi, o fortuna che mi sono svegliato un po' più tardi del solito: “fortunata la causa o la conseguenza?" Ecco, già comincio a sragionare: sveglio completo; doccia! In un clima caldo il poter far la doccia con l'acqua fredda, che poi è già in sé tiepida, è un piacere in più - o una scocciatura in meno visto che non devi controllare e ri-controllare il miscelatore e comunque ti scotti sempre, porcamiseria! La doccia è un piacere sibaritico (che aggettivi 'stamattina!), lavarsi è un optional.
La colazione già pronta: oggi niente attesa che ci siam svegliati al momento giusto, le scelte disponibili su tre tavoli: è solo questione di pensarci un paio di secondi con e per l'opportunità di un bis, con scelta variata. La prima colazione fatta con calma, digerita nella calma, abbandonata altrettanto e più con calma, senza rimpianti. (Ci siamo offerti un'altra mezza tazza di caffè puro, né latte né zucchero, per svegliarci - o per penitenza, visto il sapore.)
Ed ecco la spiaggia; l'ombrellone, il mare; la sdraio. È stato tutto così automatico e sovrappensiero (pensando ad altro sarebbe più corretto dire) da indurci a controllare ora, che se ne prende atto, se siamo in regola e se s'ha con sé tutto l'occorrente ..., non è la prima volta che si esce con le ciabatte da camera o si dimentica lo stick proteggi-labbra o il telo-da-mare che è grandino, neh! Già abbiamo a noia il romanzo iniziato ancor prima di por mano al libro. Ah, ecco gli occhiali da sole, quelli per leggere che finiscono sempre in fondo alla borsa e va a finire che prima o poi si rompono. Ciac Ombrellone aperto. La vista-mare è un poco sulla sinistra, almeno per un'oretta, poi sposteremo lo scomodo lettino seguendo l'ombra dell'ombrellone.
E m'addormento! Metà gambe che s'arrostiscono al sole, e un senso di fastidio, d'irritazione ... e mentre stancamente sposto l'oblungo lettino blu ecco una nota più stridula delle altre (un'esclamazione? una risata?) dar volto al mio malumore: la voce acuta, di testa, straziante, penetrante, insopportabile echeggia da qualche ombrellone più in là. Perché nel contado gli uomini squittiscono, berciano striduli, hanno 'sta voce da gessetto strofinato sull'ardesia della lavagna? Perché, poi, la gente grida? Lo so: chi è senza peccato ... Anch'io parlo a voce un po' troppo alta, lo so e lo considero un mio difetto da elidere ... Chiudiamo gli occhi e, , ascoltiamo sperando che il suggerimento zen (“... vedrai che non opponendoti il tutto passa e va”) dia i suoi frutti. E ascolto, seccato, inorridito, perplesso; meditabondo; un pochino di nausea, incredulità. Commiserazione? No; perché? Ognuno vive la propria vita, e il garrulo stridente narratore non mi sembra scontento della sua; , certo, un abbellimento degli episodi meno piacevoli e un velo di rassegnazione con una buona spolverata di fatalismo cattolico (qualche imprecazione e bestemmia intercalata qua e là confermano la base religiosa dell'aedo). Possibile che sia stato meramente una cozza per tutta la sua vita? Un'esistenza da mollusco bivalve avvinghiato allo scoglio, nella fattispecie: la propria manodopera lavorativa (in fabbrica? in una ditta?). Una formichina rassegnatamente felice dello scorrere quotidiano e sollevata nel raccontare la positiva soluzione di controversie o intoppi d'una banalità disarmante, alcune avversità o contingenze chiaramente esagerate per dar sostanza al racconto ( e alla vita stessa così piatta, grigia, monotona) tant'è che una panne dell'automobile teneva più spazio narrativo degli scioperi ("di quegli anni lì") in ditta. Il lavoro: l'unica occupazione, l'unico pensiero, l'unica ragione di vivere, il resto sembra venire accessorio in quanto si lavora, prima il lavoro (fisso, più fisso e sicuro possibile) e poi la casa, i figli, e ... e basta. Certo, la televisione, ma è dato per scontato, è cosa di tutti e di tutti i giorni; le vacanze ... come tutti, potendo.
Sto quasi per alzarmi ed andare a rinfrescarmi i piedi sulla battigia quando inizia il peana dei bei tempi andati quando il formaggio e tutto il resto di cibarie era poco (poco!) ma buono, "genuino" (ma se già nel Medioevo c'erano frodi alimentari sul pane, olio per non parlare del vino!). Mi salva dalla tiritera e mi blocca sul lettino l'arrivo d'una signora che tutto il gruppo, alle mie spalle, complimenta ed è simile ad un cambio di canale televisivo, basta con la storia-della-mia-vita, adesso moda & cicalecci femminili. Lo strano è che queste donne conterranee dei loro mariti ("donne e buoi dei paesi tuoi", considerando Cuba e Thailandia come "tuoi" nel senso di "conosciuti, noti, familiari") hanno la voce calda, pastosa, ovviamente con qualche trillo & strillo, ma aggraziato, femminile. Dà per leggere.
Non riesco a concentrarmi; il cervello sta scaricando una serie seriale (ma sì che si dice! un elenco di cose o dati dello stesso tipo) di domande. Dall'iniziale irritazione, spande una risata come un tappo da una bottiglia di frizzantino, sì, perché m'è stata inserita nella memoria visiva una delle tate pagine con gli esercizi-di-comprensione alla fine di un brano o capitolo di un romanzo! Il tipo qui dietro sarà una cozza, ma io pure, beh, no, facciamo un pesce ... in un acquario (Big Nemo?). Che ho fatto in più o di diverso dal contadinotto chiacchierone? Contadino, cioè del contado, dell'interno, dell'entroterra, niente di offensivo; beh sì un po' di sussiego (?), di vanità di noi rivieraschi, costieri, "marini".
Ah! Il vantaggio assoluto della vacanza in luoghi dove non parlano la tua lingua è di non capire di che cosa stiano discutendo, lagnando, commentando, chiacchierando, narrando così da non creare interferenza nel tuo fluire di pensieri e nessuna frase, esclamazione, parolaccia (?!) ti turba: né più né meno che il belare di capre o l'abbaiare di cani (beh, alcune lingue sono sgradevoli foneticamente in sé).
Dunque: le differenze; le discrepanze; la diversità principale ... è ... Ma si possono fare paragoni? La mia e la sua vita vissuta? (Vissuta? In che misura, io e lui, ci siamo resi conto di vivere?) Problemi da sociologia esistenziale, antropologia urbana, psicologia comportamentista, filosofia quotidiana. La formica e la cicala? Nemmeno per sogno: entrambi abbiamo dato il nostro fattivo contributo all'andazzo (yeah!) di questa società senza scialacquare, senza approfittarcene (troppo), senza, in fondo, dare fastidio (idest: nella legalità) [arrivata AQ, 9e35 del 28 genn] . Che entrambi si sia finiti qui stesso hotel, stessa spiaggia, stessa mensa è una realtà identica innegabile; oh, le motivazioni, certo: qualità-prezzo ..., "stessa spiaggia, stesso mare ... per quest'anno non cambiare" ricordando la canzone di un bel po' di estati fa; stessa noia, ma la mia cosciente ... La noia, no, non credo proprio che il tipo sappia dell'esistenza di questo debilitante stato d'animo; com'è che la noia, l'uggia, il tedio del vivere quotidiano può insinuarsi nella compatta massa di accadimenti giornalieri che lui vive o allentare la catena (catenella, quasi uno spago) di micro preoccuazioni o sconnettere l'attitudine a meravigliarsi, in qualche modo e direzione, di tutto. Ecco: già oggi è più (o meno) caldo/afa/vento/tranquillo di ieri (o dell'anno scorso, o di un tempo che fu, o ...), e al telegiornale hanno detto/mostrato/discusso/pronosticato che …
Sapore di sale, sapore di mare … Canticchio, non proprio: diciamo che seguo con trasporto la canzone che s'è inserita nel fluire di pensieri, senza emettere suono, ovviamente (pudore, riserbo, intimità?). ...che hai sulla pelle, che hai sulle … Mi stiracchio sulla sdraio e mi turbo (“oddio, che è?”) nell'udire strani scricchiolii. Sospiro di sollievo: non sono le mie giunture ma quelle del lettino. Confortato, mi stiracchio, mi allungo irrigidendo tre, quattro volte … Stop! Rido, sotto gli occhiali, ché si sta stirando e ingrossando anche il coso lì, ch'è coperto appena dal leggero tringolone dello slip. Rido: era ora! Mi siedo acciambellando le gambe, prendo in mano il libro e mentre l'apro (il segnalibro è un volantino pubblicitario d'un ristorante sushi), una risata grassa, piena, femminile e sensuale (“... vicino a me-e ...”) mi fa girare il capo istintivamente e la intravvedo, lei, la gola e “il petto e il crine” (e i fianchi ampi che si indovinano).
Mi ridistendo, il libro poggiato sull'inguine.
E mi perdo nella corrente veloce, fantasmagorica, colorata, melica di ricordi: immagini e sensazioni. E m'addormento.
Dormo.
Pasto (Colombia), gennaio 2015.
gv

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