venerdì 1 dicembre 2017

Recensione di Nuova Poesia in Chioggia

Eleonor Varagnolo
Nuova Poesia in Chioggia
pubblicazioni anni '80

La poesia, come le altre arti – la musica, la pittura e la scultura – è la rappresentazione sensibile dell'universo intimo dell'essere umano.” Guido Guarda (NpiC, n° 9)

“Poesie? Giochi, se non giochetti, verbali; sequenze sincategorematiche; accattivanti lallazioni. Vuoti-a-perdere.” gv (NpiC, n° 13)
C'era una volta … il ciclostile, che sarebbe una specie estinta di fotocopiatrice (come, per fare un esempio pratico e storico, la bicicletta sta allo scooter), però serviva per fare molte copie di una singola pagina con fogli (rigorosamente da ciclostile) qualche centimetro più grandi dell'A4. Per poter ciclostilare il testo si doveva batterlo con macchina da scrivere su un'apposita matrice, batterlo propriamente poiché i caratteri metallici dovevano forare la pellicola della matrice creando così i fori sagomati dai quali sarebbe uscito l'inchiostro che avrebbe riprodotto il testo su foglio. (Penso che abbiate presente come funziona e come è fatta una macchina da scrivere, qui vi ricordo che il rullo su cui scorreva il foglio permetteva solo l'introduzione del formato della sua larghezza.) I primi ciclostili funzionavano a mano, ossia girando una manovella ruotava il rullo sul quale era fissata la matrice “a stampare”.
Perché mi sono dilungata su questi dati di paleologia tecnologica? Perché le pubblicazione (una ventina) hanno avuto inizio per l'innovazione, prodigiosa per gli anni '70, della matrice elettronica, ossia non serviva più scrivere-battere a macchina il testo: bastava solo copiarlo su un'apposita fotocopiatrice abbinata al ciclostile (che ora era mosso elettricamente). In più si potevano riprodurre disegni, tenendo però conto e utilizzando della tecnica della stampa a calco (su lastra) o meglio della punta secca. Questa possibilità di produrre immagini fu la molla che fece muovere mio padre & la Brigata Culturale “La Musica e le Parole” per realizzare una pubblicazione periodica di poesia e brevi prose, avendo anche l'opportunità di avere la “rivoluzionaria” macchina a portata di mano: la segreteria della scuola media G. Pascoli in Sottomarina, dove era approdato come insegnante di lettere.
Si trattava di trovare (i soldi per) i fogli, le matrici e l'inchiostro.
Venne spedita una richiesta alla Biblioteca civica e all'Assessorato alla Scuola e Cultura. Tutto bene (senza tener conto delle lungaggini burocratiche) anche perché s'era costituita l'Associazione dei Gruppi Culturali di Chioggia e la richiesta di “materiale d'uso” (matrici, fogli e disponibilità di un ciclostile) venne fatta a nome dell'ABC [Allegra Brigata Culturale] “La Musica e le Parole” aggregata all'Associazione dei gruppi in diretto contatto con l'Amministrazione comunale (nel decimo fascicolo, in terza di copertina, si ringrazia l'Assessorato alla Cultura, il Comitato di Gestione della Biblioteca Comunale e il personale della biblioteca).
Avute 10 risme (da 400 fogli) di carta bianca, una di carta colorata per la copertina, una confezione di matrici normali e una di “elettroniche”, si trattava non tanto di trovare un ciclostile, ma una macchina da scrivere con il carrello lungo che permettesse di battere i testi in orizzontale (se ne trovarono alcune in uffici scolastici o comunali, poi venne recuperata una Olivetti M40 – con i tasti tondi e vetrini a coprire le lettere - con rullo da cm. 70, “modernariato” già allora; il suo uso lo si nota nei testi per la lettera r che è più su o giù della riga). La matrice doveva essere inserita orizzontalmente per avere così la possibilità di stampare e avere due pagine una volta piegato il foglio: i fascicoli hanno il formato di cm. 16,5 x 22 (metà A4, ottimo per la riproduzione di poesie). Aggiungo subito qui, per far capire quali fossero le difficoltà pratiche, per quanto minute e banali, di realizzazione: la ricerca di una graffettatrice che avesse il “morso” o braccio di almeno 18 cm. per spillare gli undici fogli costituenti un fascicolo. (Undici fogli piegati, stampati fronte e verso, danno 44 pagine o facciate.)
E il primo numero fu. Un disastro. Beh, mezzo disastro visto che delle quattrocento copie previste se ne ottennero quasi la metà, e con due fogli mancanti (cioè 8 pagine): quelle dei disegni più estesi e/o elaborati che facevano uscire troppo inchiostro attraverso le matrici così che i fogli si impiastricciavano appiccicandosi tra di loro.
Era l'autunno del '79.
La presentazione fu nella biblioteca civica “C. Sabbadino” che allora era ubicata nel palazzo Monte della Pietà (Corso del Popolo 1649, indirizzo per il c.i.p. = ciclostilato in proprio); vi era una sola sala per l'utenza (tutto il lato sud) che veniva usata per conferenze o spettacolini di nicchia (come si direbbe ora) quali, ad esempio, quelli presentati dall'Allegra Brigata (“Canti del lavoro”, “Cabaret dei Gufi”, “Dentro il fantastico senza bastonate” : teatro di burattini), senza alcun “impianto voci “.
Il numero 2 porta la data Febbraio 1980 e in seconda di copertina la scritta: “Copia n°_/500.” (nel quarto fascicolo a pag. 40 è segnato a penna 319 , “esemplari di questo numero”), che malgrado l'aggiunta di fogli ciclostilati, per le solite falle tecniche, “non ha toccato le quattrocento” copie e viene presentato il 2 aprile (mercoledì) in biblioteca.
Poi tutto tace fino all'autunno dell'81 benché il n° 3 porti la data del mese di aprile, ma, come è spiegato a pag. 40 del n° 5, è “congelato” in tipografia assieme al quarto fascicolo. Che cos'era accaduto? Un po' di maretta per la richiesta del materiale [“Ancora?! Ma se' proprio dei rompi …!”] quasi si chiedessero soldi in contanti o la luna nel pozzo: fogli e matrici e inchiostro rientrano nel banalissimo materiale di consumo di ogni ufficio. Però il ritardo e le lungaggini un poco se l'era voluto il curatore (che per tredici numeri è stato Giancarlo Varagnolo) che aveva fatto stampare due copertine in cartoncino con la linoleumgrafia di Toni Bullo e la stampa di “I LOVE YOU tempesta “ sul retro di 450 e “Ho fatto una collana / di mie parole / spero che portandola / tu / possa provare qualcuna / delle mie sensazioni. su altrettante.
Così l'81 ha tre pubblicazioni ravvicinate, l'82 due e nell'83 ritorniamo alle pubblicazione di tre fascicoli come era nelle speranze dei curatori di una pubblicazione periodica quadrimestrale.
Nel n° 10, del dicembre '83, si riportano alcune cifre che sono ancora un po' deludenti per il numero delle copie a fascicolo, “attorno alle trecento (con la puntata massima di 380 del nono grazie alla buona volontà di Giancarlo Saccoman)”, ma al contempo si sottolinea le “più di duecentocinquanta poesie pubblicate di una trentina di autori”. Nello stesso numero, in terza di copertina c'è l'avviso che “il gruppo di promozione culturale Amici della Poesia si riunisce ogni 1° e 3° giovedì” in biblioteca alle ore 17,30.
Gli Amici della Poesia s'era aggregato attorno alla rivista Nuova Poesia in Chioggia e quindi costituitosi in gruppo di promozione culturale nell'81 con proprio statuto [si veda terza di copertina del n°15, di ben quarantotto pagine!], poco più di un anno dopo l'uscita-presentazione del primo ciclostilato di Nuova Poesia.
La periodicità continua semestrale (primavera / inverno) meno che nell'anno 1987 con tre numeri (gennaio, maggio, dicembre), e i risultati di stampa e grafica migliorano (dopo una ricerca un più uffici comunali, sindacali, scolastici, ... di un ciclostile affidabile). Biblioteca e Comune (Assessorato alla Pubblica Istruzione & Cultura) prendono atto probabilmente più del minimo costo di spesa per la pubblicazione che del suo valore (negli anni '80 fu l'unica pubblicazione periodica culturale) e il “materiale di consumo” viene periodicamente concesso, tenendo conto che ora a supportare Nuova Poesia in Chioggia oltre a “La Musica e la Parole” vi sono gli “Amici della Poesia”: due gruppi culturali molto attivi.
Quel che invece comincia a pesare sono le discussioni nelle riunioni quindicinale degli Amici della Poesia, su che cosa, quali poesie, “che poesie” stampare visto che la pubblicazione rimane indipendente, ovvero gestita dall'Allegra Brigata Culturale “La Musica e le Parole”. Di questa insofferenza, incomprensione, ottusità, pocaggine, ignoranza, preconcetto e quant'altro ne è testimone le reazioni al fascicolo 17, interamente dedicato al Carnevale, riportate parzialmente in seconda e terza di copertina del n° 18. Ma qui entriamo nel merito, visione e critica dei contenuti che si vedranno nella seconda parte della presente relazione.
Gli opuscoli venivano distribuiti nelle sale insegnanti delle scuole medie, lasciati ovviamente in biblioteca e talvolta in altri luoghi come la reception della Casa di riposo. Erano in distribuzione gratuita (e forse questo è stato un errore perché il gratuito sembra non aver valore già in partenza, già di per sé, ed è forse questo non-valore che ha fatto sì che nella biblioteca, che era lo sponsor ufficiale della pubblicazione, ora non abbia in scaffale nemmeno uno dei venti fascicoli e delle almeno seimila copie ciclostilate).
Le copertine sono di vario colore alternando i quattro disponibili in cartoleria: verde, celeste, giallo (tutti pallidissimi), un bel rosa e, ovviamente, il bianco. Cinque disegni di copertina e moltissimi altri all'interno che comprendono la realizzazione grafica della “Poesia senza parole” (alle pp. 13-28, n° 10), sono dell'ormai noto vignettista Rosario Santamaria. Altrettanti disegni sono della mano paziente di Anna Maria Pedretti quali, ad esempio, le riproduzioni delle disposizioni floreali dell'I ebana del n° 8, e le 11 vignette della poesia sul gabbiano (pp. 13-15, n° 7).
La copertina del n° 5 è rudimentalmente fotocopiata, e vi intravede un “giovane poeta in tenuta di gala” (lunga tunica che lascia vede i calzini bianchi, e un badge con un probabile garofano socialista), tre muse cantanti con chitarra, una poetessa in erba (Piccola Eva, 20 mesi!) e due foto chioggiotte veraci: una mangiando pesce (con fascicoli virtuali di Nuova Poesia sulla tavola) e l'altra tenendo svettante un penelo.
La paginona centrale di solito contiene una sola composizione o perché la lunghezza dei versi lo richiede (pp. 22-23, n° 7) o è una grafo-poesia come quella del n° 5 dove sul disegna di una spiaggia è scritto (un poco sghembo): “Abbiamo perduto qualcosa passeggiando in riva al Mare nella spiaggia di questo settembre.”, mentre le pp. 20-21 del n° 14 riportano pagine di elenco telefonico con sopra cinque volte la scritta: “RICHIAMERO' DOMANI” dove un lessema graficamente è scritto progressivamente ridotto e l'altro ingrandito. Nel n° 12 (“dedicato interamente all'infanzia”) abbiamo C'era una volta … disegno da colorare (purtroppo l'esortazione COLORA! è venuta tagliata longitudinalmente) con personaggi delle fiabe.
Ed ora un po' di conti: quanti hanno scritto su Nuova Poesia ? Quanti componimenti poetici e quante prose? (Ed anche quante immagini …)
Le pubblicazioni sono “a cura di “ Giancarlo Varagnolo, in tre di esse affiancato da Eva (n° 3), Cloe (n° 7) e da entrambe nel n° 12 – un omaggio alle figlie appena nate, mentre è una nascosta provocazione l'attribuzione della “cura” a Jolanda Griguolo, la nonna ottuagenaria del curatore (e mia bisnonna). Il 18 comprende anche l'Allegra Brigata Culturale “La Musica e le Parole” alla quale si affianca nel n° 15 e nel 17 il Gruppo di Promozione Culturale “Amici della Poesia”. In terza di copertina del n° 11: “a cura disignifica: raccogliere gli scritti, dattiloscriverli, preparare la bozza, richiedere il materiale 'tecnico', battere le matrici, formare i singoli fascicoli, cucitura, (distribuzione).
Per quanto riguarda gli autori, abbiamo avuto l'autodidattam che ha ottenuto la licenza di scuola media grazie alle “150 ore”, e il laureato in lettere; il poeta affermato e lo scrittore alle prime composizioni, il ragazzo di sette anni e il sessagenario, la casalinga e la studentessa universitaria, l'ortolano e il professore, l'autore prolifico e chi ha scritto due o tre poesie in vent'anni. “ (Seconda di copertina del n° 10.) Negli altri dieci numeri la provenienza socio-culturale non cambia, con un leggero aumento della presenza femminile: 18 su un totale di 66 [più 3 cui non è dato sapere: L.T. n° 19, zeta n° 18 e 19, e il/la “graffittaro/a” delle scritte murali a spray inserite nel n° 2 che “Sono poesie a tutti gli effetti, ed anzi il modo di renderli di pubblico dominio rende tali versi ancor più pregni di comunicativa: il vissuto emotivo singolo si pone come messaggio e fatto (gesto) di rilevanza collettiva.”].
Grande assente, per la nostra città di mare, il pescatore “, nel dicembre 1983, l'assenza perdura malgrado la pubblicazione di altri dieci numeri, le letture pubbliche di poesia, l'attività dei gruppi culturali: nell'estate del '88, con la pubblicazione dell'ultimo fascicolo di Nuova Poesia, non vi è un solo componimento scritto da un pescatore.
I componimenti sono in totale 452 per la maggior parte in lingua italiana, vi sono ovviamente le dialettali [delle quali nel n° 19 si lamenta “il gusto del macchiettistico (per lo più patetico) e/o per la battuta che muova al riso – e all'applauso.”], ed alcune in inglese (sic!).
Le prose sono 76, ovviamente molto brevi visto il formato della pubblicazione (Una fiaba venne pubblicata in due puntate: n° 5 e n° 6 per un totale di 7 pagine). Vi sono poi alcuni saggi sulla sulla poesia ( Il prodotto, Poesie? Vuoti-a-perdere, PERCHé i POETI ? - :”Perché non cadano le tenebre e, ottenebrato, nessuno più veda per quanto guardi.”, n° 4,) e note sui risvolti di copertina.
Le illustrazioni, per la maggioranza, 72, a pagina intera, non sono equamente distribuite nei vari fascicoli: erano pensate come stacco fra un autore e l'altro ma in pratica non è stato possibile. Molti altri disegni nelle pagine con testo (oltre ai grafopoemi).
Terminiamo qui con il proporVi quella che riteniamo la poesia più provocatoria, borderline, strana, intensa (di Pippa Cagnotta, fascicolo 16), nuova sperimentale, problematica:
srd mt
I' sn 'n srd mt '
Qnd ch I' prl , nssn m' cps .
[La chiave di lettura è semplice: srd mt sta per SoRDo MuTo, il resto viene da sé a livello di contenuto; a livello di comunicazione si introduce la consapevolezza di una questione non da poco.]
Diamo qui di seguito l'immagine di una grafopoesia (“paginone” centrale dell'ultimo fascicolo):


In nota o appendice, diamo l'elenco di tutti i collaboratori (scrittori, grafici, ….)

Chioggia, 30 novembre 2017

Eleonor Varagnolo.

martedì 7 novembre 2017

Ombrelloni a spicchi.

Giancarlo Varagnolo
Ombrelloni a spicchi bianchi e blu
Talvolta ci si sveglia stanchi, stanchi della vita. Nulla di drammatico perché è una stanchezza dovuta alla noia che dà la ripetitività del vivere quotidiano: le solite cose da fare, il solito tran-tram che comprende una sequenza, limitata, di azioni e la possibilità latente ma presente, questa sì infinita, inimmaginabile, di seccature, intoppi, noie appunto. E fuori c'è il sole, oggi; nel senso (visto che l'atteggiamento nella constatazione della giornata soleggiata dovrebb'essere anche questo di tedio) che il bel tempo non aiuta a mitigare questa non-gioia d'un nuovo (nel senso stretto di data) giorno, anzi! perché se piovesse o tirasse vento o ... no, la neve è un'altra cosa; beh, insomma, se il tempo atmosferico è brutto, uno si sente compreso, quasi rassicurato da questa sintonia, empatia, fra fuori (piove!) e dentro ("come mi sento frustrato.").
Il sole, di riflesso obliquo, illumina la stanza, la 312.
Fortuna che ieri notte sono andato a letto tardi, o fortuna che mi sono svegliato un po' più tardi del solito: “fortunata la causa o la conseguenza?" Ecco, già comincio a sragionare: sveglio completo; doccia! In un clima caldo il poter far la doccia con l'acqua fredda, che poi è già in sé tiepida, è un piacere in più - o una scocciatura in meno visto che non devi controllare e ri-controllare il miscelatore e comunque ti scotti sempre, porcamiseria! La doccia è un piacere sibaritico (che aggettivi 'stamattina!), lavarsi è un optional.
La colazione già pronta: oggi niente attesa che ci siam svegliati al momento giusto, le scelte disponibili su tre tavoli: è solo questione di pensarci un paio di secondi con e per l'opportunità di un bis, con scelta variata. La prima colazione fatta con calma, digerita nella calma, abbandonata altrettanto e più con calma, senza rimpianti. (Ci siamo offerti un'altra mezza tazza di caffè puro, né latte né zucchero, per svegliarci - o per penitenza, visto il sapore.)
Ed ecco la spiaggia; l'ombrellone, il mare; la sdraio. È stato tutto così automatico e sovrappensiero (pensando ad altro sarebbe più corretto dire) da indurci a controllare ora, che se ne prende atto, se siamo in regola e se s'ha con sé tutto l'occorrente ..., non è la prima volta che si esce con le ciabatte da camera o si dimentica lo stick proteggi-labbra o il telo-da-mare che è grandino, neh! Già abbiamo a noia il romanzo iniziato ancor prima di por mano al libro. Ah, ecco gli occhiali da sole, quelli per leggere che finiscono sempre in fondo alla borsa e va a finire che prima o poi si rompono. Ciac Ombrellone aperto. La vista-mare è un poco sulla sinistra, almeno per un'oretta, poi sposteremo lo scomodo lettino seguendo l'ombra dell'ombrellone.
E m'addormento! Metà gambe che s'arrostiscono al sole, e un senso di fastidio, d'irritazione ... e mentre stancamente sposto l'oblungo lettino blu ecco una nota più stridula delle altre (un'esclamazione? una risata?) dar volto al mio malumore: la voce acuta, di testa, straziante, penetrante, insopportabile echeggia da qualche ombrellone più in là. Perché nel contado gli uomini squittiscono, berciano striduli, hanno 'sta voce da gessetto strofinato sull'ardesia della lavagna? Perché, poi, la gente grida? Lo so: chi è senza peccato ... Anch'io parlo a voce un po' troppo alta, lo so e lo considero un mio difetto da elidere ... Chiudiamo gli occhi e, , ascoltiamo sperando che il suggerimento zen (“... vedrai che non opponendoti il tutto passa e va”) dia i suoi frutti. E ascolto, seccato, inorridito, perplesso; meditabondo; un pochino di nausea, incredulità. Commiserazione? No; perché? Ognuno vive la propria vita, e il garrulo stridente narratore non mi sembra scontento della sua; , certo, un abbellimento degli episodi meno piacevoli e un velo di rassegnazione con una buona spolverata di fatalismo cattolico (qualche imprecazione e bestemmia intercalata qua e là confermano la base religiosa dell'aedo). Possibile che sia stato meramente una cozza per tutta la sua vita? Un'esistenza da mollusco bivalve avvinghiato allo scoglio, nella fattispecie: la propria manodopera lavorativa (in fabbrica? in una ditta?). Una formichina rassegnatamente felice dello scorrere quotidiano e sollevata nel raccontare la positiva soluzione di controversie o intoppi d'una banalità disarmante, alcune avversità o contingenze chiaramente esagerate per dar sostanza al racconto ( e alla vita stessa così piatta, grigia, monotona) tant'è che una panne dell'automobile teneva più spazio narrativo degli scioperi ("di quegli anni lì") in ditta. Il lavoro: l'unica occupazione, l'unico pensiero, l'unica ragione di vivere, il resto sembra venire accessorio in quanto si lavora, prima il lavoro (fisso, più fisso e sicuro possibile) e poi la casa, i figli, e ... e basta. Certo, la televisione, ma è dato per scontato, è cosa di tutti e di tutti i giorni; le vacanze ... come tutti, potendo.
Sto quasi per alzarmi ed andare a rinfrescarmi i piedi sulla battigia quando inizia il peana dei bei tempi andati quando il formaggio e tutto il resto di cibarie era poco (poco!) ma buono, "genuino" (ma se già nel Medioevo c'erano frodi alimentari sul pane, olio per non parlare del vino!). Mi salva dalla tiritera e mi blocca sul lettino l'arrivo d'una signora che tutto il gruppo, alle mie spalle, complimenta ed è simile ad un cambio di canale televisivo, basta con la storia-della-mia-vita, adesso moda & cicalecci femminili. Lo strano è che queste donne conterranee dei loro mariti ("donne e buoi dei paesi tuoi", considerando Cuba e Thailandia come "tuoi" nel senso di "conosciuti, noti, familiari") hanno la voce calda, pastosa, ovviamente con qualche trillo & strillo, ma aggraziato, femminile. Dà per leggere.
Non riesco a concentrarmi; il cervello sta scaricando una serie seriale (ma sì che si dice! un elenco di cose o dati dello stesso tipo) di domande. Dall'iniziale irritazione, spande una risata come un tappo da una bottiglia di frizzantino, sì, perché m'è stata inserita nella memoria visiva una delle tate pagine con gli esercizi-di-comprensione alla fine di un brano o capitolo di un romanzo! Il tipo qui dietro sarà una cozza, ma io pure, beh, no, facciamo un pesce ... in un acquario (Big Nemo?). Che ho fatto in più o di diverso dal contadinotto chiacchierone? Contadino, cioè del contado, dell'interno, dell'entroterra, niente di offensivo; beh sì un po' di sussiego (?), di vanità di noi rivieraschi, costieri, "marini".
Ah! Il vantaggio assoluto della vacanza in luoghi dove non parlano la tua lingua è di non capire di che cosa stiano discutendo, lagnando, commentando, chiacchierando, narrando così da non creare interferenza nel tuo fluire di pensieri e nessuna frase, esclamazione, parolaccia (?!) ti turba: né più né meno che il belare di capre o l'abbaiare di cani (beh, alcune lingue sono sgradevoli foneticamente in sé).
Dunque: le differenze; le discrepanze; la diversità principale ... è ... Ma si possono fare paragoni? La mia e la sua vita vissuta? (Vissuta? In che misura, io e lui, ci siamo resi conto di vivere?) Problemi da sociologia esistenziale, antropologia urbana, psicologia comportamentista, filosofia quotidiana. La formica e la cicala? Nemmeno per sogno: entrambi abbiamo dato il nostro fattivo contributo all'andazzo (yeah!) di questa società senza scialacquare, senza approfittarcene (troppo), senza, in fondo, dare fastidio (idest: nella legalità) [arrivata AQ, 9e35 del 28 genn] . Che entrambi si sia finiti qui stesso hotel, stessa spiaggia, stessa mensa è una realtà identica innegabile; oh, le motivazioni, certo: qualità-prezzo ..., "stessa spiaggia, stesso mare ... per quest'anno non cambiare" ricordando la canzone di un bel po' di estati fa; stessa noia, ma la mia cosciente ... La noia, no, non credo proprio che il tipo sappia dell'esistenza di questo debilitante stato d'animo; com'è che la noia, l'uggia, il tedio del vivere quotidiano può insinuarsi nella compatta massa di accadimenti giornalieri che lui vive o allentare la catena (catenella, quasi uno spago) di micro preoccuazioni o sconnettere l'attitudine a meravigliarsi, in qualche modo e direzione, di tutto. Ecco: già oggi è più (o meno) caldo/afa/vento/tranquillo di ieri (o dell'anno scorso, o di un tempo che fu, o ...), e al telegiornale hanno detto/mostrato/discusso/pronosticato che …
Sapore di sale, sapore di mare … Canticchio, non proprio: diciamo che seguo con trasporto la canzone che s'è inserita nel fluire di pensieri, senza emettere suono, ovviamente (pudore, riserbo, intimità?). ...che hai sulla pelle, che hai sulle … Mi stiracchio sulla sdraio e mi turbo (“oddio, che è?”) nell'udire strani scricchiolii. Sospiro di sollievo: non sono le mie giunture ma quelle del lettino. Confortato, mi stiracchio, mi allungo irrigidendo tre, quattro volte … Stop! Rido, sotto gli occhiali, ché si sta stirando e ingrossando anche il coso lì, ch'è coperto appena dal leggero tringolone dello slip. Rido: era ora! Mi siedo acciambellando le gambe, prendo in mano il libro e mentre l'apro (il segnalibro è un volantino pubblicitario d'un ristorante sushi), una risata grassa, piena, femminile e sensuale (“... vicino a me-e ...”) mi fa girare il capo istintivamente e la intravvedo, lei, la gola e “il petto e il crine” (e i fianchi ampi che si indovinano).
Mi ridistendo, il libro poggiato sull'inguine.
E mi perdo nella corrente veloce, fantasmagorica, colorata, melica di ricordi: immagini e sensazioni. E m'addormento.
Dormo.
Pasto (Colombia), gennaio 2015.
gv

mercoledì 19 luglio 2017

Spirto Gentil.

Giancarlo Varagnolo
Spirto gentil
Atto unico
« Spettro: …, condannato per un certo tempo a vagare di notte e a digiunar tra le fiamme di giorno, fino a che le tristi colpe da me commesse in vita non siano arse e purgate. .. Oh, ascolta! »
Amleto, A. I, s. 5.
Narratore, (tamburino),
Pia,
Francesca,
Desdemona,
Giulietta,
Cortigiana,
Monaca [Munega Matta],
2 comari: Vanna e Rosina.
- La scena si svolge da mezzanotte all'alba in uno spiazzo erboso.
Narratore: (canzone) Di gioie e affanni
delizie e malanni
verità ed inganni
cosparsi gli anni
son di nostra vita.
Pene e languori
di passati e nuovi amori
riempion di lucori
e foschi furori
i dì di nostra vita.
E seppur duole
l'affanno che suole
oscurarci il sole
lasciar non si vuole
questa nostra vita.
Oh, nessun trattiene
la morte quando viene!
L'assassinio previene
il disseccarsi delle vene,
di natural dipartita
da nostra vita. (tamburo o altro suono)
[scena 1] Approssimatevi, venite, guardate, udite, ascoltate: quel che vedrete è occasione ben rara di intender come vita e morte strettamente son legate all'amore, alla gelosia, alla sorte che l'amore punisce col delitto – un cuore trafitto, un collo spezzato – e nel ludibrio della vittima e l'indulgenza per il carnefice. Vicende umane, fatti che l'umana natura rinnova e ripete ad ogni stagione. Amore e sangue, passione e delitto, estasi e follia, languore e gelosia. E queste creature son donne, vittime di morte prematura per la furia sanguinaria dell'uomo. Avremo qui Desdemona innocente che dal geloso Otello, il Moro, fu strozzata, e Pia de' Tolomei soppressa cosi' segretamente dal marito che nulla si seppe e chiede ricorditi di me che son la Pia; e poi Giulietta che si procurò la morte trafiggendosi con il pugnale del suo amato Romeo vedendolo morto, per diatribe e faide di famiglia, e poi, poi, anche se il sommo poeta Dante pone questi amanti nell'Inferno, come non giustificare la Francesca dell' amor che a nullo amato amar perdona ? Vedano, ascoltino che mai assilla gli animi, gli spiriti gentili di queste donne. Uno spiazzo erboso, forse un vecchio cimitero o l'aia d'un'abbazia, scocca la mezzanotte.
(ad ogni 3 rintocchi appare una donna nell'ordine detto dal Narr, si pongono in riga salutandosi che brevi cenni del capo, poi un attimo di meditazione-preghiera muovendosi in tondo, quindi, sempre camminando lente)
Francesca : (sospiro) Sarà eterno questo nostro andare quali colombe dal desio chiamate ?
Desdemona : E il mio? Non so darmi pace, e così mi struggo nel ricordo non della pena ma del torto subìto perché ancora io, ecco, io ancora odo le dure accuse e le turpi invettive dello sposo mio Otello. (afflitta)
Pia.: Tutto fu già in vita, pero' almeno, ecco, vorrei che si sapesse di me: di me che son la Pia. (movimenti laterali)
Giulietta : (rivolta alle singole 3) Io, io, io non lo potrò mai, mai, mai perdonare a me, a me stessa la mia stoltezza che portò alla morte il mio Romeo! Il veleno, lo vedo, è stata la precoce conclusione ai suoi giorni.
Narr : Spiriti, anime in pena ché non possono, o non vogliono?, dimenticar la vita terrena e l'amor che le nutrì. (è già entrata Cortigiana dal lato “opposto”)
Cortigiana : E l'amor che le nutrì : ben detto! L'amor che nutre: guarda me, lo so ben io com'esso soddisfa e sazia.
Narr : Tu!? Che fai tu qui? Tu, che giudicata già fosti e sei dannata! (fermatesi, fanno gruppo dall'altro lato)
Cort : Dannato sarà chi codardo alle spalle mi colpì e negli effetti mi tradì!
Le 4 : Ohh! (guardano curiose Cort)
Narr : Non le turbare nel narrare la fosca tua vita, taci.
Cort : Ma se tu stesso hai detto che non posson dimenticare … Va bene, va bene: lasciamole parlare. Allora sentiamo, o anime affannate, venite a noi parlar, s'altri non niega! (le 4 interdette si scambiano sguardi) Non siate timide pudìche, spirti gentili sì, ma il candore e l'innocenza non vi s'addicono più! (le 4 s'interrogano con gli occhi movendosi a disagio)
Narr : Lo vedi, non vedi che non è questo il posto tuo!? Va' e (…)
Le 4 : (a se stesse poi a Cort) Chi è? Chi sei? Come sei giunta qui? Cosa t'accadde? Chi ti uccise? (si pongono a semicerchio di lato a Cort – P D F G)
Cort : Son una delle tante che dicon perdute , e il mio nome ch'importa ora che il mio corpo non ho. (s'abbraccia lieve) Il mio corpo …
Narr : Senz'anima!
Cort : (risata sguaiata e poi beffarda) Oh, e questo che vedi che è? Non è forse anima? Non è spirito? Non è etereo, inafferrabile?
Pia : Hai sofferto? (avvicinandosi a Cort)
Fran : Hai amato? Amor condusse Voi ad una morte? “ “
Des : Sei stata tradita? Uccisa ingiustamente? “ “
Giu : Hai errato per impulsività cieca di passione? “ “
Cort : Tutto e ancor di più ché vile e l'uomo, e la vita un limaccioso cammino.
Giu : L'odio e le incontinenze di altri che ricadono su di noi, l'iraconda bile che altri spandono ci ammorba. Per un antico rancore due stirpi ostili resero sventurato il mio amore.
Des : E l'invidia che inietta veleno con lingue taglienti e rende dubbiosi i savi e ottenebrati i giusti. La morte che uccide per amore è una morte contro natura.
Fran : La cecità di chi non vuol vedere i torti che va commettendo imponendo con la forza una volontà distorta.
Pia : Né il rispetto di Dio, né il timore né l'ignominia può fermare brama, eccitazione, rancore. (hanno attorniato Cort che guardano in aspettativa, mentre lei osserva divertita)
Narr : Ecco, vedete. Due mondi che s'incontrano, due …
Cort : Due, due, due mondi sì, ma gli assassini che uccisero me e lei e lei e lei (indica) son d'un altro mondo!
Fran : Così è.
Pia : Lo sappiamo.
Des : Sventura fu.
Giul : Maligna sorte.
Cort : Sorte, sorte, destino, fato? (sghignazza) E se la lama del pugnale si fosse conficcata in altre carni, avesse reciso altre gole, se il sangue versato non fosse stato il nostro? Se … se … il mio, il nostro petto non fosse così soffice e compassionevole.
Narr : Così van le cose nel mondo. Da sempre …. (le 4 passano dalla mestizia allo stupore e al risentimento, Narr si ritrae)
Giul : Potrei essere con il mio Romeo se stolide faide non ci avessero costretti a mezzi disperati e insensati.
Fran : L'amore non sarebbe stato galeotto se l'avessi atteso e non mi fosse stato imposto.
Pia : Ed io che dire quando s'affrettò la morte mia, segretamente per cagion d'un'altra donna?
Des : La gelosia ... la gelosia come infido àspide avvelena l'animo.
Cort : Siamo tutte uguali, con i nostri corpi vivi e pulsanti, fummo tutte amanti della vita, ed or che è finita siamo qui …
Pia : Anime gentili, soavi, (si muove più o meno leggiadra)
Giul : spiriti eterei, “ “
Fran : lievi, impalpabili, diafane, “ “
Des : però i nostri pensieri … pesano . (ferme in gruppo )
Narr : Ma sono ricordi lontani!
Le 4 : No, no sono qui fra le nostre mani di farfalla, eterni.
Cort : (ridendo) Ohò, ecco la vostra pena: che non possiate obliare ciò che vi ha fatto amare il mondo e la vita … Nostalgia infinita di un mai-più.
Narr : Passerà, passerà ….
Pia : Chissà. Il ricordo s'attenua nella dolcezza del rimpianto, ma chi ha amato tanto più con il cuore che con il pensiero ritorna a rivivere gioie e pene, languori e sospiri, i momenti d'estasi e le palpitanti attese, e il riso, le labbra, le mani, la voce … e la fine precoce, non meritata, non è ancora acqua passata … L'oblio verrà? Chissà ... S'annebbierà negli altri il ricordo, in noi ora è rimpianto di aver amato troppo, poco o quando tempo non era e la Gelosia avvelenava le pungenti frecce di Cupìdo e disfecemi . (è entrata Monaca, siede a terra gambe piegate di lato)
Fran : Come, come puo' il passato passare e lasciar il ricordo svanire quando l'amor che mi fece morire volteggia in me, con me, per me? L'Amor che muove il mondo, l'amore che rapido pervade un cor gentile … Amore, piacere, passione, desiderio sì forte che strema e che incatena dimentichi d'ogni cosa del mondo, del dì, delle notti … Gioia terrena, tempo felice che ricordar ora qui addolora questo cuore che ancora, ancora, per sempre?, chissà, è gonfio d'amore. Fa male il ripensare al tempo felice finito, andato, che mai più sarà rinnovato, vissuto ancora e prolungato. Amore che non sarà più consumato, lasciandoci così nel turbinio del ricordo della passione, nell'ardore del rimpianto di aver amato per così poco, e così tanto. E la cieca malvagità che colpì me e l'amato mio ben.
Des : L'amato … L'amante, l'amoroso bramato, il concupiscente vagheggiato, l'adorato adorante, l'esigente signore, il lascivo reggitore, il peccaminoso adulatore, l'ardente … il possente … il furente … il geloso: irato, violento, rude, volgare, bestiale … Ancora sto male per le parole pronunciate, gridate, urlate da lui furente che colpivano e straziavano come staffilate. Insulti degradanti, turpi, infami … Per una scintilla soffiato da un amico … l'incendio avvampa della gelosia, ma io son pura, son pia, son sua, lo amo … Lo amo, lo amo, ancor lo amo, di più? Forse, non so, ora che pentito s'è trafitto da sé chiedendo perdono, mentre il sangue sgorgava dalla ferita ed anche la sua vita cessava. “Prima d’ucciderti, io t’ho baciata. Non mi restava altro modo che questo: uccidermi morendo in un tuo bacio.” Dimenticare? Che mai? Questo, quello, tutto, qualcosa, in parte …? Chissà. L'amore come un roseto curato con affetto, ecco il mio giardino: vedete come un sol giorno di tempesta abbia vanificato le amorose cure di stagioni e stagioni stagioni …
Giu : Una stagione, l'unica, la sola, una! Che altro ho da ricordare della mia breve vita se questa stagione e renderla infinita dilatando attimi e momenti che ci ha visto felici, contenti, inebriati, vogliosi, smaniosi, attenti, furtivi e ridenti, un po' preoccupati, ma innamorati. Innamorati … Continuero' a ricordare per sentirmi il cuore palpitare, il respiro mancare, le gambe frolli e farfalle nella pancia, e la testa leggera leggera come … il chiaro di luna, l'incostante luna, gioire del patto d'amore troppo rapido, troppo improvviso, troppo violento, troppo simile al fulmine che passa prima che si sia potuto dire “Fulmina!” .
Cort : Tristezza, mestizia, rimpianto, afflizione, pia rassegnazione – tutto questo per un amore non consumato o inacidito o troncato o profanato !?! Amore è una qualche letizia, un po' di guadagno, un sorso di vita. (s'avvia verso il gruppo delle 4 che s'è formato in un lato, s'imbatte su Mon che s'è alzata) E tu …? (notando la tonaca) Sorella! Voi qui … perché? Anche voi … Sì, certo! Anche voi, eh, e ditemi (...)
Monaca : Anch'io … anch'io sì, certo, forse, chissà … chissà, ma che cosa? Che cosa? C'è malinconia nell'aria, e le vostre parole sono come … come neve che cade: ecco un fiocco e un altro ancora che si posa sul viso: solletico, brivido di stupore e, sparito, rimane il freddo languore di bagnato. Cos'è che non va nelle vostre vite vissute? Oh, l'amore, l'amore, l'amore … Amore. Anch'io ho amato. Cosa credete ch'io non sappia che sia amore?! Amare, voler bene, gioire, rasserenarsi, un poco perdersi e venir meno inebriate o solo confuse. Una carezza, un suono, o ancor meno: uno sguardo, l'immagine o, ecco sì, sì, solo il ricordo come voi tutte qui ora. Il ricordo, gli occhi trasognati o chiusi: non dobbiamo vedere, ma sentire nelle nostre fibre, nel nostro petto, nel nostro ventre il languore, la delizia, il torpore, la felicità intima profonda che ci avvolge e ci addormenta come in un soffice caldo manto anche se accanto nulla e nessuno più c'è.
Des : Parli così perché non hai amato chi ti amava per poi essere ripudiata e con male parole, per turpi sospetti, allontanata e … e sì: assassinata!
Pia : E così anch'io: mi s'oppresse con oscure trame l'uomo al quale offersi me stessa colma d'amore.
Fra : Se veramente hai amato presa dal vortice caldo inebriante dell'amore, …
Cort : Ah, questo amore, questo amore, questo amore! E che sarà mai? L'Amore … (dopo aver guardato le altre 4) Palesami tu, sorella, quale sia l'oggetto di codesto tuo amore e che mai ti spinse a danargli il tuo cuore.
Mon : Il cuore? A nessuno mai diedi il mio cuore, né altra parte veruna della mia persona, io (…)
Giu : Ma di quale amore ci stai parlando se tu, se tu niente del tuo essere hai condiviso impudìca con un vagheggiato amante.
Cort : Oh, no, mie care gentildonne, non si confonda ancora soggetto oggetto verbo e predicato, come direbbero i miei galanti conoscenti grammatici letterati e poeti! L' amoroso è un vagheggino che non ama, e desiderare, se pur ardentemente, un profumato cavaliere, non vuol dir che lo si debba amare.
Le 4 : Ma che dite! Perché voi, voi … Come non amare se è l'amore, l'amore che che …
Cort : (beffarda e ironica) L'amore, l'a ahah!
Mon : Perché ridete? Perché ridete dell'amore che affligge l'anima di queste donne e le lega tristi infelici a quand'esso era pulsante e vivo come il loro cuore? Vi fate beffa di chi, di che, perché? Amato voi non avete mai?! Mai l'animo non vi si riempì di tenerezza per l'umida carezza di foglie roride della rugiada mattutina, o non sentiste la letizia del tremulo miagolio di Bentornata! della gatta di casa, o le nuvole in cielo che rasserenano il cuore (…)
Cort : Ma codesto, codesto non è amore! Sarà felicità gioia delizia, serenità estasi appagamento, ma dov'è l'eccitamento, la voluttà, la spinta a ghermire, l'appagante possesso e lo sbalordito sentire?
Le 4 : L'amato, ci fu? Chi? Il nome …? Che mai?
Mon : Che mi chiedete? Di che amore parlate? Il mio certo non è di quel che deste, né di quel che vi fu dato. Il mio è sentirsi parte di tutto il Creato ed essere in letizia nel tempo che scorre.
Des : Dunque non sai della riprovazione d'un uomo, dell'amore inacidito?
Fran : Dunque tu nulla sai dell'amor condiviso, di carezze scambiate, di furori placati, di … (si commuove al ricordo) ?
Pia : Dunque non sai che sia essere desiderata e poi, poi abbandonata, e immiserita, dimenticata.
Giu : Così dunque in vita nessuno vi amò e nessuno amaste? Come può essere accaduto?
Cort : Perché così van le cose nel mondo! Perché chiamate amore la lussuria e amare la smània di soddifar la voglia.
Mon : Ma che dite, che dite tutte voi? Sono queste parole umane o son vaneggiamenti di menti malate per l'animo che non ha pace e soffre? Che dite? Perché v'angosciate quando l'amore che cercate è nella pace che non trovate per il sempiterno ricordare una passione terrena, piccola cosa se comparata all'infinito (…dell'universo)
Cort : La gallina che crede che il mondo sia grande quel tanto che vede dal piolo della sua pollaio: un'aia di fattoria!
Giu : Non hai cuore e ciò ti precluse l'amore, e la passione, fu così.
Des : (a Cort) Non parlar di foia! Fu gelosia per troppo sentimento.
Fran : Che dite voi tutte, che dite? Il mio fu amore amore amore così tenero e soave, così casto e innocente, così (sognante) amoroso , incontinente.
Pia : Non so, non so più che dire, ma il mio morire fu perché lui riversò il suo amore su un'altra donna, un'altra, non più io.
Mon : (imbarazzata e turbata) Vado, scusate, addio. Pregherò per voi, pregherò nelle notti serene godendo della luce delle stelle, e nelle sere di bufera ascoltando le voci portate dal vento che raccontan … talvolta, storie di amore. (via)
Le 4 : Ma no, aspetta, dove vai, racconta, … (in linea-gruppo, schiena al pubblico)
Cort : Qualcuna che non sembrava in pena per pene d'amore. Ingenuità, innocenza, ignoranza, inesperienza del mondo, assenza di malizia, … povertà di spirito, ottusità, ritardo …? Chi può dire.
Narr : Chi può giudicare, chi?
Le 4 : In lei non c'è dolore, né tristezza, né rimpianto, né languore, né (…)
Cort : Né passione alcuna.
Narr : Ed è questa la sua la sua fortuna: d'essere in pace e serena. Lenite la vostra pena dissolvendo il rimpianto, offuscando il ricordo, e la nebbia dell'oblio … ecco: l'indistinto, l'evanescente, il nulla, più nulla, il vuoto, la quiete, la pace.
Le 4 : (unisono, ripetuto poi a canone) Offuscare, dimenticare, scordare, cancellare? Il ricordo, il passato, quel che fu e che resta. (singolarmente) Chissà, chissà, chissà ... (in fila escono, una alla volta ad ogni strillo di gallo)
Narr : Il sole sta per sorgere, e tu, tu non ritorni nel mondo delle tenebre?
Cort : Basta che abbassi le mie ciglia: chi ha troppo da ricordare fa presto a dimenticare ogni cosa, tutto. (tamburo o piffero, via)
Narr : Quando il gallo canta è il segnale per ogni spirito inquieto, sia in mare o nel fuoco, in terra o in aria, che si affretti al proprio rifugio. Vestito del suo roseo manto, il mattino s'avanza sulle rugiade dei campi laggiù da oriente; (guardando dall'altro lato) e queste che giungono son creature terrene, le cui pene … Sssst: ascoltimo (si defila, mentre si sentono prima le voci, poi di lato entrano le 2 donne)
[scena 2] VANNA : (entra curva con passetti frettolosi, mormorando veloce) Andiamo andiamo andiamo ché devo devo devo parlare e confessarmi …
ROSINA : (dietro) Che fretta , come corri questa mattina! La chiesa non fugge via dal campanile, e il parroco se la prende sempre comoda …(si ferma per prendere fiato - centro scena)
Van : (fermandosi anche lei : più oltre ) Muoviti perché prima mi libero, è meglio è. Per due passi hai già la lingua di fuori.
Ros : Ho perso l'abitudine a correre ; quando ero giovane, che corse ! Prima per fuggire dagli spasimanti e dopo per prendere le birbe dei nostri figli, e dopo solo per catturare una gallina e torcerle il collo.
Van : Saprei io a chi tirare il collo e … (moto di rabbia)
Ros : Che cos'hai 'stamattina ? Hai fatto indigestione ? Hai dormito male ?
Van : Indigestione ? Un groppo qua ho ! E dormire ? E' una settimana che non mi fa dormire, quel … quel … (moto di stizza) morto cadavere di mio marito !
Ros : Ehh, ti viene a trovare, di notte ?!? Di persona ?!
Van : No, no, sia grazia al Signore, mi appare solo in sogno ! Ma che insistente, che insistente : peggio che da vivo, credimi, Rosina !
Ros : (esterefatta) Ma viene a chiederti ancora … quelle cose li' ?? Che … che ..
Van : (beffarda) Gli ho insegnato le buone maniere da vivo, con il mestolo de legno, penso che anche se è morto non voglia prendere quattro bacchettate sui …
Ros : Ma che cosa vuole ? Cosa domanda ?
Van : Non sono riuscita a capire bene ; già che da vivo parlava mangiandosi le parole, adesso piange e singhiozza come bambinetto … veramente mi sembra più un cane bastonato, comunque … Devo parlare col parroco, perché voglio dormire !!
Ros : Ma senti che storia ! Avevo sentito dire che i morti defunti, se non riposano in pace è perché qualcosa gli manca, qualcosa non è andato nel giusto verso nel coso, nel trapasso ; o che hanno, che ne so, nostalgia, o …
Van : A me sembra che il mio caro marito abbia preso un bello spavento quando è stato di là e adesso abbia paura di andare dritto là a cucinarse nelle fiamme dell'Inferno per l'eternità. Come che mugola, neanche quando era ubriaco fradicio ogni anno alla festa del santo patrono.
Ros : Eh, Vanna, non dirmi che non sai che bisogna pregare per le anime del Purgatorio, cosi' da ridurne la pena ?
Van : Lo so, lo so : non sono mica eretica ! Li so i credi della Chiesa, ed è proprio per questo che voglio parlare col parroco. Eh, si', perché come faccio a sapere dove che è stato mandato … quello là ?! Se è già all'inferno, come tutti pensiamo (stupore Oooh di Ros) … Ma si', Rosina, col carettere che aveva e tutte le porcherie che ha commesso …. Senti : se fossi sicura sicura sicura che è in Purgatorio, un paio di messe anche potrei fargliele dire, ma buttare i soldi, con tanti che me ne ha mangiati lui, per niente, e no, proprio no !
Ros : Un poco di carità cristiana : è sempre tuo marito !
Van : Infatti : continua a comportarsi da quell'impudente scocciatore egoista qual era . Carità ? Una bastonata sulla zucca ! Che Dio lo abbia in gloria, ma che non venga più a disturbare i miei sonni.
Ros : Bisogna aver pazienza con le anie in pena ; sono spiriti che hanno ancora … peccati da purgare ; non sono ancora completamente passati di là e non hanno ancora raggiunto la pace dell'anima.
Van : Lo so, lo so, ma cosi' facendo la pace la toglie a noi! Adiamo, dai, che oggi voglio risolvere 'sta storia e farmi una meritata dormita 'sta notte. (va verso di fretta l'uscita delle altre 5, seguita da Ros)
Ros : Aspetta, aspetta ! Che furia di donna …Ecco la messa che inizia. (suono di campanella d'inizio messa ; riappare Narr)
Narr : Voi, spettatori, non aspettate che escano dalla chiesa : l'ufizio sarà lungo. Io qui Vi saluto, e se il nostro dire V'è piaciuto, concedeteci, Vi prego, un applauso. (inchino ; tamburo etc ; rientro grazioso di tutti, una alla volta mentre è posto al centro scena un leggio)
[scena 3]
(il rientro in scena avviene singolarmente mentre l'attrice precedente legge, meno le Coòar e Mon che entrano assieme : Mon si pone a fianco di Cort, le due ai lati della riga)
Fran : (entra volteggiando fino al leggio, legge) « Siede la terra dove nata fui 
su la marina dove ’l Po discende 
per aver pace co’ seguaci sui. 
      Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende 
prese costui de la bella persona 
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 
      Amor, ch’a nullo amato amar perdona, 
mi prese del costui piacer sì forte, 
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 
      Amor condusse noi ad una morte: 
[
Caina attende chi a vita ci spense.]
 Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
      la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante»
Pia : (calma al leggio, legge) «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 
e riposato de la lunga via, 
ricorditi di me, che son la Pia: 
Siena mi fé, disfecemi Maremma: 
salsi colui che ‘nnanellata pria 
disposando m’avea con la sua gemma».
Giu : (languida) Ma poi, che cos’è un nome?… Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome? Così s’anche Romeo non si dovesse più chiamar Romeo, chi può dire che non conserverebbe la cara perfezione ch’è la sua? Tu m’ami?… So che mi rispondi “Sì”, ed io ti prenderò sulla parola;io di te sono tanto innamorata, da farti pur giudicar leggerezza il mio comportamento; però credimi, mio gentil cavaliere, che, alla prova, io saprò dimostrarmi più fedele di quelle che di me sono più esperte nell’arte di apparire più ritrose. La mia voglia di dare è come il mare, sconfinata, e profondo come il mare è l’amor mio: più ne concedo a te, più ne possiedo io stessa, perché infiniti sono l’una e l’altro. - Veleno!… È stato questo la sua fine. Cattivo! L’hai bevuto fino in fondo, senza lasciarmene una goccia amica che m’avrebbe aiutato!… Bacerò le tue labbra: c’è rimasto forse un po’ di veleno, a darmi morte come per un balsamico ristoro. Scendi, o notte solenne, tu, matrona sobria matrona mia nero-vestita, ad insegnarmi come devo perdere una partita vinta, la cui posta son due verginità incontaminate. Vieni, amorosa ed accigliata notte, e dammi il mio Romeo.
Des : (accorata) Buona notte. Mi doni il ciel costume di non mai prendere il male dal male, ma di saper, con il male, emendarmi. Tanto lo loda l’amor mio, che quelle stesse sue maniere rudi, i suoi rabbuffi, i suoi sguardi aggrottati - ti prego aiutami a slacciarmi, qui - hanno in sé tanta grazia e gentilezza. perché, per questo cielo che c’illumina, io non so proprio come l’ho perduto. Ve lo dico in ginocchio: se ho mai peccato contro l’amor suo, col pensiero o con atti veri e propri; se mai si dilettarono i miei occhi, i miei orecchi o alcuno dei miei sensi ad altra forma d’uomo che la sua; e s’io non l’amo, e sempre l’amerò con tutta la potenza del mio cuore anche s’egli di me si liberasse . Ahimè, di quali inconsapevoli colpe mi sono coperta ?
Cort : (leggiadra signorile, mentre legge le Com si pongono a fine riga d. e s.)
Amore un tempo in così lento foco
arse mia vita, e sì colmo di doglia
struggesi il cor, che qual altro si voglia
martir fora ver lei dolcezza e gioco.
Poscia sdegno e pietate, a poco a poco
spenser la fiamma; ond’io più ch’altra soglia
libera da sì lunga e fiera voglia
giva lieta cantando in ciascun loco.
Ma il ciel né sazio ancor, lassa, né stanco
de’ danni miei, perché sempre sospiri,
mi riconduce a la mia antica sorte;
e con sì acuto spron mi punge il fianco,
ch’io temo sotto i primi empi martiri
cadere, e per men mal bramar la morte. [Tullia D'Aragona, XVI sec]
Mon : E voi: Chi vuol esser lieto, sia!
(rullio di tamburo, doppio inchino)

Clugia minor, 18 luglio ( 26 giugno) 2017.

vg