martedì 3 maggio 2016

8 del 3


                                             G I A N C A R L O    V A R A G N O L O
                                                    
                                        §-                              8 del 3                                    -§                              
                                                                       ********
                                                                     - atto unico -
 Personaggi:
      SOFIA: mezz'età, tipo normale, tailleur gonna, tacchi bassi;                                                                     MARIA: giovane, camicia avorio maniche lunghe, gonna ampia bruna sotto il ginocchi, espadrillas - trucco del viso: "pallido" ma luminoso;                       LIDIA: casual-sportivo, pantaloni, tacchi alti.
      #Scena: un corto palo semibruciacchiato e pezzi di legno, quasi al centro; di lato una croce quadrata (tipo "pisana") e davanti una sedia impagliata (sulla quale è seduta Mr coperta da un velo cenere).
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    VOCI fuori campo: Perchè? (ripetuto più volte, in toni e volumi; entra Sf dal lato oposto di Mr).
   SOFIA: Come? Come? Come può essere accaduto? (il primo a volume normale, poi la voce si abbasa fino a diventare un sussurro, un " pensare parlato") Le grida, il fuoco, gli urli e spasimi. Occhi sbarrati, bocche contratte. La fiamma e il fumo. L'odore di corpi che trasudano paura. Come tutto questo, così ... temporale estivo che bagna, flagella, innonda; strappa, divelge, sradica; trascina ... (andando verso Mr) Maria. Maria; Maria? Sei qui, lo so, ancora qui ... (guardando i rsti del rogo) Le calde ceneri, le ceneri, la morte dalle dita di ghiaccio venuta con il fuoco. Maria; Maria. (toglie il velo che la copre) Maria! Maria (avvicinandosi quasi a toccarla) come hanno potuto? Come? Sbranata da stolidi cani, dilaniata la tua anima da turpi corvi; e il belare delle pecore, il ragliare degli asini, lo sguittire del maiale nel brago. Come è stato, Maria? (le toglie la grossa corda che le serra i polsi) Difenderti: ma come? Fuggire: ma dove? La piena dell'odio che sommerge tutti i cuori, la nebbia del terrore che ottunde le menti, e gli animi si rattrappiscono, seccano, muoiono. Come è potuto accadere? E ancora, e ancora. Maria Maria Maria: come non può accadere a me? A me. (guarda la corda che tiene in mano, l'avvolge ai polsi, l'avvicina al collo, ...)
    MARIA (voce fra il normale e il "soave") Sono gli altri
 a deciderlo, hai visto?, non noi; non io, non tu. Gli altri, quegli altri che ruminano odio e rancore per la
 loro paura di vivere.
   Sf: Quali "altri"? Altri chi? La piazza gremita di folla ululante ... donne e bambini ... Gli altri ... sono tutti, tutti {quanti}.
   Mr (lieve sorriso): Se la mandria ti travolge non è sua la colpa, la causa è il mandriano che l'ha costretta a correre, a muggire, a impazzire.
   Sf: La mandria, il gregge, la folla; gli altri ... Ad essere dilaniata sei stata solo tu, Maria, tu sola.
   Mr (sorridendo triste): La prescelta, dalle circostanze, dalla cattiveria degli uomini. La sacrificata di oggi, la vittima del giorno presente; la mia polvere si confonde già con le arse di ieri e del giorno prima e delle passate stagioni, non ricordi più? Non sono la prima, ma l'ultima del presente giorno, domani, chissà forse ... chi può dirlo? (prende un capo della corda e lo tira piano facendo inclinare Sf che lo tiene stretto, quindi ottovoce:) tu.
  Sf: Come può essere che ciò accada? Come può cadere la scelta su di me che ... che ... Che abbiamo da condividere? L'amicizia, che fu; null'altro ci accomuna, ci fa somiglianti, ci confonde. Io? No, mai!
   Mr: Non dipende da te, da me, da noi. Non siamo noi a scegliere il nostro futuro; possiamo tntare sì, ma il destino è già segnato fin dalla nascita nel nostro corpo, il nostro, nostro, nostro.
   Sf (lascia andare la fune e s'erge) Quali sono i segni? Dove sono le tracce del mio destino? E nel tuo corpo cos'erano? Dov'erano? Come l'hanno saputo, loro. (si guarda intorno, si avvicina a Mr) Quali sono gli indizi, i segni tuoi, quali? (gurda circospetta, poi, sottovoce ma imperativa:) Quali?
   Mr (avvolgendo la grossa fune al braccio): Il taglio profondo, la ferita con la quale veniamo al mondo; la ferita che sanguina ogni ritorno della luna quando diventiamo feconde; la ferita da dove esce la vita, entra l'amore, e il più delle volte è posseduta dall'odio. (scioglie l'avvolgimento dal braccio e percuote Sf per indicare il corpo) Il corpo nostro, la tua sembiante e la mia. Questi nostri fianchi (passa la corda man mano che parla), e il ventre e il petto e la bocca che deve cantare o tacre. Queste mani che parlano e gli occhi, lo sguardo nostro. Lo sguardo, maledetto sia, che sempre porta in sè lo scintillio della vita, dell'amore, dell'accondiscedenza. E l'odio rancoroso cresce negli altri che pure sono nati da donna, che pure hanno succhiato il nostro latte, che pure sono stati amati, accuduti, cresciuti senza chiedere noi nulla in cambio. Quegli altri, gli uomini, i maschi, i nati con la verga. E noi donne ferite, anguinanti, attiriamo questi cani famelici infoiati dai nostri umori e pazzi, dementi, furiosi ci sbranano nella loro cieca brama di possesso. E di odio, e d'impotenza, e di vergogna. E di timore e paura. (s'è alzata e avvicinata allo spezzone del palo) Distruggono, bruciano le proprie angosce.
    Sf: Maria ... Maria, che stai dicendo? Di che cosa {parli} ...?
   Mr: Sssst, capirai. (le dà la corda) Capirete; dovrete capire; bisogna che vi rendiate conto, voi, le vive, dell'odio che vi circonda, del desidrio iroso di vendetta che vi segue in ogni ora del giorno, della schiumosa rabbia impotente che cerca spasmodicamente l'occasione, il pretesto, un modo d'agire danneggiandoci, umiliandoci, facendoci sparire. (Sf tenta di intervenire "Ma ..?", Mr le mette la mano aperta davanti la bocca) Non chiedere a me, e nemmeno loro lo sanno. Fors'è il loro irrigidirsi afflosciarsi che li rende incerti, sospettosi, insicuri, angosciati, paranoici, furiosi, devastati devastatori. Chiedono sangue, per paura, per fuggire alla vita, per odio al vivere seguendo la fasi lunari. Sempre fecondi e mai sazi. E si scannano fra loro tentando così di dimenticari, di obliare la nullità del loro stato nell'incertezza della loro potenza virile. Noi siamo ferite, il loro terrore è di essere feriti. Piuttosto la morte, e così diventano eroi, nel sangue di sè e degli altri. Così diventano lividi morti viventi massacratori vanagloriosi delle sofferenze degli altri per dimenticare le loro pene, le loro angosce, le loro lacerazioni. Quegli altri: i maschi. (s'inginocchia e siede sui talloni, alla giapponese - attimo di silenzio con Sf che non riesce a trovare le parole e gesticola, pianamente, un po', indi:)
   Sf: Come, come puoi dire che è così? Non tutti ... forse alcuno ... La piazza era gremita, l'ho visto. Tutti, dunque, anche gli amici di un tempo. Come può accadere? E tu, allora, dunque ... capro espiatorio' Innocente immacolata per le smanie insoddisfatte altrui? Vittima di cupidige e rancori non tuoi, non nostri, ma loro! Ed io, tu dici, forse, chissà, può essere che sia la prossima a ... (s'avvicina al palo, vi lega il pezzo di corda) Perchè ogni stagione dà i suoi frutti, perchè ogni stagione ha le sue pene, perchè ogni tempo consuma le sue energie. Io, la prossima, perchè (...)
   Mr (a bassa voce): Donna; donna, donna. Nessun altro motivo, ma il nostro essere femmine. E poi madri, e poi e dopo e sempre oggetto dl desiderio del maschio.
   Sf: Ma anche noi ... l'ampleso voluto, desiderato, cercato, goduto; sognato ... Perchè la stizza, la rabbia, l'odio, il furore dell'uomo che pur ha gioito e soddisfatto l'agognato piacere? Non dovrebb'esserci pace e oblio e lamguore dopo che i corpi si sono congiunti in spasmi, sudore e deliqui? Lo si chiama amore non anticamera dell'ira e rancore mortale.
   Mr: Non essere mai appagati, non sedare mai la smania che ti serpeggia nelle vicere, non por fine al desiderio e vivere nel'insoddisfazione e l'insinuante timore di una possibile impotenza, menomazione, perdita di potere, sottomissione ...(su un solo ginocchio, busto eretto, sussurrato:) Castrazione; ecco, sì, castrazione: il divenire ancor più inutili, accessori, di quel che sono. Il fuco già usato, sfruttato, munto lanciato fuori dal favo. (si alza in piedi) Noi: la vita; noi: l'alimento; noi: la matrice; noi: il dolore che si sopporta, il sangue che scorre e esce; noi: il dare. (si pone con la schiena al palo, le braccia dietro) Noi: le sacrificate prchè non conosciamo sconfitta; noi: le vilipese perchè siamo pazienti; noi: esacrate perchè ci bastiamo; noi: le invidiate. (alza le braccia come se ora fosse legata al di sopra della testa)
   Sf: Invidia? Invidia di che? perchè? Come non accettare ...? Forse è nostra la colpa, o di un dio che ha voluto così? In natura non è disgiunto, bipartito, diviso perchè s'incontri e ci si congiunga per continuare la specie e con esso la Vita? Può l'uno senza l'altro esistere, continuare a sussistere; perpetuarsi? dunque, come può essere questa furia crudele, insensata, incessante verso l'altra metà dell'universo? Omicidio come lento suicidio; disprezzo come inane rivalsa della prpria pochezza, bassessa, inerzia, viltà. È questo, Maria?
   Mr (muovendo qualche passo fra i resti della pira): Non resta che cenere, dopo le fiamme e l'acre fumo, e il calore, ecco, null'altro che cenere; impalpabile. Il vento la disperderà e la pioggia l'unirà, dissolvendola, alla terra. Altro fuoco, altra cenere; altre vite, altre morti, pene e gioie, altre, talora nuove forse conosciute, altre, ancora. (va alla sedia, siede) Ci si stanca, no, non di vivere, non di soffrire, non di andare verso il nulla, no; ci si stanca del diurno, continuo, incessante stato d'allerta che l'altro t'ompone; ci si stanca e si cede per la troppa tensione, per l'attenzione continua alle avvisaglie dell'arrivo del nemico, del male, dell'orrore. Ci si stanca; mera stanchezza, spossatezza, forse,; e così i nostri sensi si ottundono, li lasciamo anchilosare, svanire, immiserire ... per stanchezza, per sonno, per desiderio d'oblio e vuoto. (dal tono sommesso, quasi rassegnato, passa a un sorriso:) Perchè mi guardi così? Non ero io a cercare l'estasi, ma il bisogno, la pulsione d'appartarmi dalla realtà, a muovermi verso l'isolamento, della mia mente almeno, una chiusura per continuare ad essere ancora, in qualche modo, viva al mondo. Come nascondersi nell'alto d'una torre e guardare da lì la piazza del mercato. Nascosta, sola, in pace, se non felice. E poi suonano le campane (le mani che teneva in grembo s'alzano sopra la testa) don don dan don, e per un attimo credi che t'abiano scoperto, ed è la fine. Don, don; don. (vedendo Sf interdetta) Capirai, vedrai, capirai.
   Sf (volgendosi a guardare il rogo): Ma allora ... Tu ... No! Dimmi che non è vero! Dimmi che non `vero! ... Maria, no. ... Quando, come? (la prende per gli òmeri).
   Mr (calma, quasi sorridente): No, non io; non temere, Sofìa, no, non io. O forse, ecco, sì, negli ultimi momenti, quando già la mia mente, il mio spirito, la mia anima, la mia voglia di vivere non era già più qui su questa terra. Forse allora ho acconsentito, ho lasciato che mi plasmassi secondo i loro desideri, i loro dettemi, i loro preconcetti, i loro ubìe. Perchè, vedi, sono gli altri a decidere le tue azioni, a decretarne il senso, il valore, il significato. Mille sguardi, mille interpretazioni, mille giudizi e mille sentenze. E tu, ed io o l'altro a compiere lo stesso identico atto ci troviamo ad essere intesi, fraintesi, capiti, visti e creduti anche per quello che non è, al di là dell'intenzione, motivo, causa, volontà nostra, mia o tua. (s'alza e va verso il lato opposto, seguita da Sf) Arsa, condannata al rogo, inquisita, santamente inquisita ... Le prove della colpevolezza mia, i miei misfatti? Nel prisma mentale dell'accusa, dei testimoni in bona fides. Prendi sbadatamente un legnetto bruciacchiato (raccoglie) e tracci spensieratamente l'iniziale del tuo nome: ecco, emme di Maria, logico, chiaro, lineare. (lasciando cadere il pezzo di legno) Sicura?! Non potrebbe essere emme di morte, emme di maligno, emme di maledizione, emme di melacotogna o merlo? E se cammino troppo eretta (esegue), non sarà perchè sono altezzoza? o per mettere lubricamente in mostra le tette? o per vedere troppo oltre? Sai andare a cavallo, suoni il liuto, scrivi poesie?! E lavi con acqua e aceto le ferite? Tu, donbna!? Tu, che hai mangiato la mela! Tu, che ci hai dannati! Tu, (...)
   Sf: Ma la madre di Dio, Maria, la santa Maria, la Madonna, non è donna, femmina, madre? Non è venerata?! e le altre tante sante e martiri ...?
   Mr: Martiri ... Le sante martiri riempiono un calendario, e le altre? le non santificate, non beatificate, non riconosciute e dimenticate? Le martiri della quotidianità, della vita di tutti i giorni? Le {quelle che sono} picchiate, le avvilite, le schiavizzate, le represse; le stuprate ...? Morire dentro è peggio che morire per davvero. Tu che farai? (muove col piede i legnetti guardandoli)
   Sf: Io?! Io che c'entro? Fare che? Io ... Che dovrei fare: sono già come le altre, lo so, mi vedo, le vedo. Perchè io dovrei cambiare? E poi, per che cosa? Che dovrei fare? Sto già facendo, vedi: son venuta, son rimasta qui quando tutti, tutte se ne sono andate.
   Mr: Talvolta gli occhi non servono per vedere, nè le orecchie per udire, nè la lingua per parlare. Vieni, siedi; respira piano. (Sf esegue) Non guardare me, ma il nulla: la punta del tuo naso. (glielo sfiora) Le spighe di grano mosse dal vento, l'erba del prato andeggia nel silenzio, ma l'onda di chiama perdendosi sulla battigia. Nel sole, nel chiaro della luna, nella note bruna un silenzio punteggiato di sonorità lontane. (il tutto dette come se fosse un lento carillon a suonare: a sillabe staccate - cercare la melodia! - intanto entra Ld dal fondo)
   LIDIA (arrivata al palo): Cenere: un'altra donna ridotta in polvere; polvere al femminile. (andando verso Mr & Sf) Voi qui: due  donne! C'eravate (...)? (Mr le fa cenno di tacere indicando Sf; Ld s'avvicina, sussurrando:) Che le è successo? E lei che ...? (cenno del capo al rogo, Mrfa cenno di no, Ld a gesti la porta al centro e:) Vedo con rammarico che la pazzia dilaga. Quante donne qui sono state condannate al rogo? Solo lei (indicando Sf)? E (...)
    Mr: Non lei, io, solo io; ma altre sono incarcerate e denunce cadono sul banco dell'inquisitore come fiocchi di neve nell'inverno peggiore. Lei ... non so, l'ultima amica e forse sarà l'unica colpa che la perderà.
    Ld (sorpresa-perplessa): Dunque tu ... Ma tu, dunque, ... (sorride, poi ride giubilante) Allora ... Allora sei una strega per davvero! Che piacere! Cioè, capiscimi, intendo dire, ecco, insomma, non strega delle loro, ma "strega" (cenno delle virgolette) delle nostre, di noi donne. Che piacere! (l'abbraccia, Mr rimane sulle sue, vagamente sconcertata)
    Mr: Loro ... gli inquisitori, m'hanno rimproverato di trasgredire le regole della Chiesa; loro, hanno proclamato ch'ero posseduta da spiriti maligni. Loro ... loro mi han rinfacciato la mia impudicizia nell'essere donna, solo. Loro m'hanno condannato biliosi per quel che io sono, stravolgendo ogni mia azione, ogni mia parola, lo stesso mio silenzio, volgendo il tutto in blasfemia, perversione, diavoleria, maleficio, tyurpedine, eresia, e ... (guarda interrogativa Ld e sconsolata il rogo)
    Ld: Lo sappiamo: loro, loro, loro: i maledetti, i misogeni, i tristi eunuchi, gli agonizzanti sofferenti della loro stessa invidia, gli odiatori della Vita, i senza pace, i senza gioia, i maledetti. E dietro a loro tutti gli altri, il branco di sciacalli, lo stormo di corvi, il groviglio di cobra, l'accolita di tarati. "Dio lo vuole!" e ci azzannano, ci graffiano, ci mordono, ci macellano. E se poi Dio fosse una donna, negra e libertina? Loro ... i maschi. Loro, che hanno inventato l'invidia del pene quando smaniano di riintrodursi nell'utero materno. Rancore, disprezzo, timore perchè il cordone ombelicale è stato tagliato. Non ci perdonano questo abbandono: l'averli allontanati dal nostro ventre, dal nostro seno, dalla nostra intimità. L'odio cresce dentro i loro testicoli e il loro dichiarato "amore" è bisogno, bisogno di colmare il vuoto che è in loro, bisogno lancinante di non sentirsi rifiutati, da me, da te, dalla vita stessa.
    Mr: Ho visto quanto erano colmi d'odio gli occhi crudelmente sfavillanti degli inquisitori, e lo udito nei ghigni della folla. Un odio che s'accresce di se stesso con tempeste d'ira di cui non capivo la causa. Perchè io (...)
    Ld: Perchè io, e tu ... siamo donne: solo questo. Il nostro destino prefigurato dalla nacita. È scritto nel "grande libro", sì, certo, ma embra che il buon dio maschio abbia concesso solamente una striminzita paginetta ad ogni donna. Ti, invece, credevi d'averne a disposizione un capitolo, vero? Io, di pagine, ne voglio mille!
   Mr: Non volevo nulla, niente in più di vivere la vita, la mia quotidianità, d'essere libera ... ma nemmeno sapevo d'essere libera! L'ho scoperto poi quando quella libertà m'è stata tolta chiudendomi in una fetida prigione; rinfacciandomi il mio fare.
   Ld: È questo, sorella, che dobbiamo apprendere: essere noi e crescere, difenderci, lottare. (la scuote cordialmente)
  Mr: Lottare? Volevo vivere la vita, la mia vita; già ogni giorno porta problemi che devono essere affrontati. E poi: chi immaginava d'avere tanti nemici? Che ci fosse tanta malvagità intorno a me? Vivevo e mi bastava.
  Ld: Non basta, l'hai sperimentato sulla tua pelle; non basta "vivere", bisogna guardarsi attorno, capire dove si è. "Vivere", certo, in prima persona è fondamentale, ma poi guardare vedere capire la realtà che ci circonda. E da sola, una non si basta.
   Mr: Ma io ... Certo, non ero sola: i vicini, quelli che potevo aiutare, bambini talvolta da accudire, ... animali ... che buffi! e ci si può parlare: t'ascoltano!
   Ld (vagamente ironica): Ah, parlavi con gli animali! E i tuoi "cari" vicini lo avranno testimoniato sotto giuramento, n'evvero? (Mr afferma scuotendo la testa bassa) Vedi, da sola sei come un solo filo di questa corda (la prende in mano), uno solo quanto è forte, quanto peso può sollevare o trainare, o tenere legato, senzache si spezzi? Ma tre o quattro? E tutti questi? (dà strattoni alla fune) L'unione fa la forza; e, uniti, si vince; o lo meno si resiste di più. Qualcuno che ti copra le spalle ... più occhi che vedono, più (...)
  Mr: Ma io ..., io vivevo, vivevo senza pensiri, senza timori, senza ... senza nulla; vivevo! Ed anche così, perchè ero così, m'hanno accusata di ... di ... (scuote la testa).
  Ld: Non sei la sola. Potrei chiamarti ingenua, ma la colpa di cui non t'hanno accusato apertamente è che tu sei vera, lieta, verginale in un mondo di rancori, invidie, disillusioni. Un'altra vita, un'alra testimone; un'altra vittima.
   Mr (a testa china): Mi dispiace.
   Ld: Di che? (le alza la testa prendendola per il mento) Hai vissuto come si dovrebbe vivere, e la tua agonia è un monito che resta. Non ... (la stringe agli omeri come a consolarla-darle forza)
   Mr: Forse è meglio che vada.
   Ld: Riposa in pace. Il tuo ricordo resterà sempre con noi. (abbraccio, Mr esce dal fondo, Ld la guarda sparire poi, calciando i pezzetti di legno:) Tra le fiamme anche il sangue brucia, non lacia segno; tutto diventa cenere, polvere, fumo. I popoli vinti, gli schiavi ribelli, gli infedeli, gli eretici, gli indios, gli ebrei, i diversi, gli altri, i nemici, ... le streghe, le donne. Gli animali, in mancanza di meglio. Caccia e sterminio; ammazzare: lo sport preferito dall'uomo. Il calcio? Sì, erto, ma con una bella zuffa, pestaggio, alla fine. Àca, toro! (ultimo calcio e va verso Sf) Om. Meditare: ottimo; è come la crema antirughe o rassodante: male non fa, però ... però ... però (espressione dubbiosa; poi, rivolta al pubblico) La ... la chiamo? Certo che non è un can-che-dorme, ma, al di fuor di metafora, è una bella responsabilità, sapete, "svegliare" qualcuno. E se sta facendo un bel sogno, il sogno che lenisce le miserie, gli affanni, le cilecche della vita vissuta quotidiana? Talvolta è meglio non sapere, non far partecipe gli altri di come veramente va il mondo. E se poi l'illuminata, la risvegliata, la presa di coscienza si tramuta in paranoia, schizofrenia, pazzia? (vicina, di lato, con voce "yoga":) Il grano maturo s'inchina ai raggi del sole, i caccia da ricognizione rientrano e prendono il volo quelli da bombardamento, farfalle volano di papavero in papavero, macchie rosse: sangue non ancora rappreso. È il mattino di un nuovo giorno. (batte due volte, leggera, le mani)
   Sf (Sf la guarda, poi cerca con lo sguardo Mr e s'alza): Maria?... Era qui ... L'avete vista?
   Ld: Sì, se n'è andata, andata .. (indica il rogo e il fondo) Resta il ricordo e la cenere.
   Sf: ... Chi sei?
   Ld: La nuova maestra di musica. (ride) Di una musica che deve cambiare. Vuoi imparare? Ci stai?! (assenso dubbioso di Sf) Prendi fiato ... (lento e molto scandito) "Se pur che siamo donne" - ripeti. (Sf canta incerta, Ld riprende, e assieme:) "Se pur che siamo donne, paura non abbiamo" ... Brava! Un pochino di più ritmo, di brio! "Se pur che siamo donne, paura non abbiamo ......" (da fuori campo un primo coro registrato, a cui si unisce un secondo e poi un terzo ... e si spera che si unisca anche il pubblico!).
                                                                                    Pasto (Colombia), 18 gennaio 2016
                                                                                             Giancarlo Varagnolo
                                  (Nota: Si possono modificare le restanti parole della popolare canzone, o sceglierne    una più recente purchè  popolare e conosciuta.)

domenica 1 maggio 2016

The Target AUDIENCE

                                                           The TARGET AUDIENCE
                                                 
                                                                                                           Giancarlo Varagnolo
   Sarò chiaro e breve. Breve perchè abbiamo calcolato i tempi, e chiaro, comprensibile, “capibile” poichè già è stato presentato ad un pubblico, audience, attivo  che ha espresso il proprio parere, e sul suggerimento di tale pubblico (ristretto) abbiamo rivisto, rotoccato, assestato l’esposizione Il pubblico; la platea; gli ascoltatori, …, VOI.
                Proponendo uno spettacolo teatrale, quanto si pensa a chi verrà a vederlo? Molto poco, e talvolta meramente in termini di affluenza di gente, anzi, più prosaicamente, in entrate finanziarie: più gente, più presenze, più biglietti venduti, maggior guadagno. E il più delle volte ci si accorge dello spettatore quando è assente, quando la sala è semivuota, quando insomma, NON c’è, quando lo spettacolo è stato un flop, un fiasco, non ha attirato, incuriosito, interessato più di tanto. Alcuni teatranti, di questa diserzione, di questo essere ignorati, di questa poca attrattiva, se ne fanno un vanto, sì, perchè pensano, autísticamente, narcisisticamente,  che aver pochissimo pubblico li qualifichi, automáticamente, come avanguardia incompresa.
                È ovvio che, se dovessimo accontentare tutti con il nostro fare, ci troveremmo nella situazione di quel padre del racconto … Già probabilmente lo conoscete, comunque, sintéticamente: c’è un padre anziano, un figlio giovanissimo e un asino da portare al mercato per essere venduto. All’inizio del percorso il figlio è sull’asino, poi il padre, poi nesssuno dei due, poi tutti e due e, in un finale ridicolo, sono loro a portare l’asino in spalla – tutti questi cambiamenti perchè venivano criticati dai passanti che incontravano.
                Ed allora? Non possiamo non tener presente l’audience, meglio: dobbiamo aver presente e chiaro a chi ci rivolgiamo, per chi recitiamo, chi è il ricevente del nostro messaggio di cui gli attori sono i vettori, i portatori, gli “araldi”.
                Per uno scrittore di racconti o romanzi, gia è stato detto, basta e gli è sufficiente un suo único proprio lettore ideale; per un poeta … uno specchio gli è, narcisisticamente, bastante; ma per l’opera teatrale no,  principalmente perchè è effimera in termini di tempi di recitazione, di invio del messaggio: la battuta vola, dura pochi secondi e non c’è possibilità per lo spettatore di rivedere, di rewind.
                Come capriccio, gioco letterario, ho scritto un atto único per un solo attore da recitare SENZA spettatori, ovviamente è inserito in un racconto, non è un monologo a se stante.
                Orbene, chi ha la priorità nella progettazione: il referente o il destinatario? Il messaggio o il ricevente? A chi dico che o che cosa dico a chi? C’è chi scoppia di idee (scoppia: autobomba …) e chi ha un pubblico da soddisfare (le superstars dello spettacolo). Ma chi è questo pubblico? La massa; tutti e nessuno. Quelli lì! Andiamo, che un’idea-immagine ce l’avete. Io – è un esempio preso a caso, neh – nella stagione estiva recito (o dirigo o scrivo … scusate la poliedricità) per 4 tipologie di spettatori: turista, bambini; amatori del teatro classico; i miei concittadini, per i quali non recitiamo in italiano ma in dialetto veneto. Beh, se debbo proprio essere sincero, c’è una quinta categoría di audience: i miei amici & colleghi, in tutte le occasioni che loro mi offrono, non ultime le cene, i simposi e i convivi, di esibirmi “al naturale”!
                Ma che teatro político fai, allora? Chiederete voi. Beh, è o non è tutto POLITICO?
                C’era una volta … il teatro político. Mi raccomando ragazzi fate attenzione perchè: chi non capisce oggi, capirà meno domani, e poi credendo di non capire si rifiuterà, più o meno consciamente, di comprendere il mondo che lo circonda.
                Ah, NON spegnete i cellurari perchè se Dio, Allah, Thor, Krisna, Zoroastro e Piripicchio non hanno bisogno del telefonino per contattarvi, la vostra mamma sì; e magari invitate qua l’interlocutore.
                Teatro; che è “fare come se”; essere altro da sè; agire per pos-posta persona, DENTRO un altro carattere (il personaggio, il ruolo). Facciamo che io sono il papà e tu la mamma; io sono un leone, e io un gorilla! Io un serpente e tu Eva; Però non mi faccio nuda! A me basta che mangi la mela. Ma non mi piacciono le mele! Posso un manga? Non c’erano manghi nel Paradiso Terrestre! Beh, facciamo finta che … Va bene. Non si potrebbe un gelato? Ehi! Quandomai i gelati crescono sugli alberi!? Uhm …, ecco: tu arrivi con il carrettino dei gelati … Cosa? Guarda che  in città, nel 2016, un albero di frutta dove lo trovi? Un gelataio sì! Dai: facciamo finta che …!
                Questo è teatro. Politico. Ahí! La faccenda si complica prerchè il termine, la parola è talmente abusata … in alcuni paesi é diventata un insulto, un quasi sinónimo di cacca o peggio di prostutuzione, sapete, quelli che si vendono per … Beh, ma anche altri vendono altro per un pugno di dollari.
                Lessicalmente “política” significa arte di governare, cioè indirizzare  e tutelare le risorse di un pueblo; che poi sia diventata sinónimo di corsa al potere amministrativo statale per averne tutti i benefici materiali (soldi, prestigio, soldi, autorità, soldi, privilegi, soldi, …) è cosa risaputa. Ora mettere insieme un “fare come se" con un “agire per prendere il potere concretamente" … niente di più facile, semplice, lineare!
                Stupiti? Allibiti? Ma dai! Quando fate un diavolo a quattro, con urla e capriole, perchè la mamma vi compri qualcosa (gelato, gioco, maglietta, etc.), non state facendo  “teatro político”? Tutta la sceneggiata (che ripetete ad oltranza) non ha lo scopo di far cambiare idea al pubblico, ristretto a mamma-papà-zie …, e farlo ragionare come voi per ottenere quel che desiderate voi?!
                Ecco: questo è teatro, ed è teatro político. Tutto il teatro è político. Tutto. Lo è perchè veicola a tutto tondo (l’attore, l’azione, l’oratoria) un’idea, un suggerimento di trasformazione del presente, della realtà. Del vissuto quotidiano. In questo, però, dobbiamo tener presente il divenire storico, ossia: quello che è attuale oggi, non lo era ieri nè lo sarà domani – poco importa che i cosidetti grandi temi rimangano, sia esso l’amore o la sete di ricchezze o la brama di potere, che ci siano sempre ricchi e poveri, sfruttati e sfruttatori, oppressi e oppressori. Diverse le ideologie, gli interessi, le speranze, …, le angosce.
                Immaginatevi voi stessi in una polis greca, o immaginatevi qui in época pre-ispanica, immaginatevi voi stessi proprio ora sulle Alpi italiane a sciare … Bueno, che azione teatrale (dramma, commedia, tragedia, farsa, show) proporreste? Perchè? Quali argomenti per far sì che il vostro pubblico, pensi, rifletta si commuova e soprattutto venga a riempire la platea? Ovviamente, umanamente, qualcosa che è in voi, che è nel cammino, nella direzione delle vostre idee, del vostro pensiero (che potrei chiamare, tout court, ideología).
                Le vibranti omelie dei sanguigni predicatori medioevali erano monologhi effervescenti di un ottimo teatro político – ora, al più, è come se raccontassero una favola a bambini già mezzo addormentati. Non che il pubblico televisivo sia più sveglio; nè quello teatrale: troppi messaggi, e la gente ne è satura, ingolfata, intorpidita. Desistere di fare teatro? Sia mai!
                Vediamo un poco di chiarirci le idee, di trovare il modo ottimale di veicolarle e … e di trovare gli auditori, il pubblico, l’audience. Chi ci applaudirà, insomma!
                Non ditemi che NON cercate l’applauso; non ci credo. Però, attenti e siate onesti con voi stessi, poichè ben diverse sono le congratulazioni, l’entusiastico assenso, la condivisione, la gioia che procúrate: l’applauso è la sintesi di tutto questo, ma che vi applauda la mamma o l’amico del cuore è scontato, che lo faccia una platea non proprio amichevole o attenta è ben altro.
                Ben altro anche l’applauso per una gigioneria adulatrice o quello per una battuta sarcástica o feroce contro la status quo (governo, economía, …).
                Non sarò io qui & ora a discutere di ideología (gasp!) política, vediamo piuttosto, teóricamente il target audience, cioè il pubblico a cui va dirigida una nostra messa in scena.
                Nella traduzione di target in spagnolo ho trovato il termine “blanco”, el blanco, così uso questo lemma e siamo meno gringo o yankee, y vamos dar en el blanco, del pubblico.
                Un pubblico, che è ben ricordarlo, è formato da individui, e fra questi cerchiamo e scegliamo il nostro destinatario della comunicazione e/o dell’azione.
                Apro parentesi su questa bipartizione perchè quasi mai azione e comunicazione coincidono, ovvero hanno lo stesso “blanco”. Per comunicazione intendo sia l’azione scenica che tutto ciò che trasmette un messaggio, e quindi: manifesti, video, pubblicità tout court, volantini. Per azione: è il coinvolgimento concreto del pubblico, qualcosa come quello che avete fatto qui pèr le calli l’ultimo giorno del festival. Vedete bene che non può essere lo stesso pubblico, anzi si fraziona il target, el blanco, man mano che si specializza-finalizza la comunicazione o l’azione. Non sono problema teorici, ma pratici, talmente pratici e concreti che i risultati, la risposta, l’avete inmediatamente. Certo ed indispensabile è che siate onesti con voi stessi, onesto nel senso che non perdiate di vista il destinatario e lasciate perderé di confrontarvi con la concorrenza,  - che in pratica significa: “Vedi gruppo XY: io sono più bravo di te a fare i video, a coinvolgere la gente, a fare spettacolo! Tie’! :P “ . Chiusa parentesi.
                Prendiamo dunque questo spettatore modello, o modello di spettatore (ribaltamento pseudo situazionista) che sarà il receptor del nostro prodotto comunicativo, che saprà senza dubbio (si spera) condividerlo  e soprattutto utilizzarlo per cambiare almeno un poco la percezione della realtà; la propria realtà: el ámbito físico, biológico, psíquico, cultural, institucional, social en lo que el sujeto desenvuelve su existencia; y en su dimensión procesual, todo lo que acontece en ese ámbito. Abbastanza chiaro e scevro da griglie ideologiche, nel senso che la realtà è qui a portata di mano, si tratta  solo di metterci d’accordo sulla nomenclatura (non necesariamente “políticamente corretta”): proletario o lavoratore, borghese o classe media, sfruttato o salariato, feccia o dannato della terra, …, radical chic (bobos) o intellettuale di mierda. Di questi ultimi l’ambiente della cosidetta sinistra ne è pieno e sono questi che da una rivoluzione di fatto passano a una che è solamente parlata, chiacchierata, salottiera e che non sarà mai.
        Detto questo, a quale pubblico indirizzare "Madre Courage"? Al di qua della peculiarità socio-storica-culturale di un popolo, v'è in ogni dove la suddivisione in classi, livelli, strati o come volete chiamarle: abbiamo gli acculturati e non, gli aperti e gli ottusi, i ricchi e i poveri, natyuralmente, e quelli che guardano al futuro e quelli che guardano al passato e quelli che si guardano l'ombelico. A chi daremo in pasto il coraggio di questa madre? Chi inviteremo a partecipare alle vicissitudini di questa donna? E perchè? Ossia: quale messaggio vogliamo trasmettere? Qual è la morale che noi vogliamo veicolare con questa narrazione? Noi, e sottolineo noi, perchè è nella messa in scena che diamo le indicazioni interpretative e le connotazioni del fatto, dell'accadimento che non è mai, mai, neutro.
    Per esempio: la madre è una top-model, ovviamente truccata da poveraccia, o è un'attempata attrice non proprio sexy? Il cuoco è un poco di buono o è banalmente un sempliciotto?Ci facciamo beffe (interpretative) di cattolici e protestanti, o pontifichiamo seriamente sui due lati della medaglia cristiana? Se continuassi a parlarvi mettendomi il naso rosso tipico del pagliaccio, mi ascoltereste con lo stesso tipo di attenzione? E se lo facessi in mutante? :D Certamente attirerei l'attenzione più degli omosessuali che delle donne; l'attenzione che non è ritenzione & comprensione del messaggio, di quello che sto dicendo, perchè, ripeto, è il pubblico, il ricevente, che decodifica ciò che vede e ode, ovvero capisce, sì ca-pi-sce quel che vuole, o può o crede di capire.
    Le donne ... intendo: le donne come pubblico: non ci si pensa quasi mai - anche perchè pubblico è maschile. Invece ci dovermmo pensare, specialmente mettendo in scena una madre e ancor pi`una figlia la quale di coraggio, credo, ne ha pi`della madre.
    Suona il tamburo ...
    Nel 2016! Ma non ha un telefonino ...?  What'sup ...? Oh, scusate, il dramma è ambientato nel XVII secolo. C'era una volta ... E già siamo fregati, sì, perchè "se c'era una volta, tanto, tanto, tanto tempo fa, allora è una fiaba, e chi se ne frega della realtà di oggi. Già stiamo dando indicazionisbagliate al nostro caro amato pubblico di spettatori. Perchè? Ma perchè è tutt'altro che lineare la comparazione tempi che furono e tempi che sono! Se si parla del passato, lo spettatore si sente sicuro di non essere coinvolto, che non si sta parlando di  lui, della sua realtà quotidiana e si adagia sulla poltrona per godersi lo spettacolo e non pensare, al più avrà un pochino di quella cosa lì, la "catarsi".
    E allora: vogliamo dare a Madre Courage e ai suoi figli un furgoncino, sgangherato quanto volete, ma con un motore? E un telefonino, vecchiotto ma funzionante  almeno alla figlia?! Oddio! Sto riscrivendo l'ambientazione e quindi il dialogo: devo far dire: "Siamo a secco di benzina!" e non "È finita la biada!". E Kattrin (la figlia) è presa perchè stava mandando messaggini ... ma sì, come hanno fatto al Cairo, a Istanbul, a Occupa Wall Street, lì dove si protesta e ci si muove contro le barbarie di oggi qui, ora.
    Caro spettatore: la poltrona ti è un po' scomoda adesso, eh!? Cara spettatrice: ti ci ritrovi in questa telenovela dal vivo? Tu faresti lo stesso? È oggi che questo accade, che questo può accadere, che TU puoi far accadere perchè purtroppo continua a essere così il mondo. Oggi, oggi, ora.  Chiaro? E tu, tu, anche tu che sei stato trascinato qui da qualcuno, tu cosa ne pensi? Che cosa potresti o puoi fare?
    Il messaggio non è stato chiaro?!!! Porcamiseria! : rivedere il testo; tagliare, rinverdire, aggirnare, semplificare, ... Il pubblico deve mobilitarsi dopo lo spettacolo, divenire "politico", antagonista. "Podemos"! Ya!
    Però ci sono gli altri, anche quegli altri che si sono adeguati, che sono soffocati, intorpiditi, chiusi nel loro stretto orizzonte della propria sopravvivenza, i rassegnati. A questi non proponiamo, no, ideologie e nemmeno miti che li alienerebbero ancor di più dalla realtà quotidiana, no, a questi diamo la speranza, la luce in fondo al tunnel, un'indicazione concreta, tangibile, attuale, fattibile, materialista; la speranza. d'un domani che deve, che può, che sarà diverso, migliore.
    Asta la Liberdad ! Siempre.
Pasto (Colobia), (11-14)gennaio 2016.
Giancarlo Varagnolo

Pifferaio magico

                      Il pifferaio magico
    Pantomima con mimo, suonatore di flauto (o simili) e disegni.
                                                       Giancarlo Varagnolo
   Servono 2 trespoli su cui legare una corda dove si appenderanno i disegni (le mollette faranno parte del costume discena del mimo: sul vestito e nei capelli). Descriviamo qui un'azionescenica che ha come racconto lafiaba del suonatore di flauto e i topi - con lo stesso schema se ne possono narrare altre (eventualmente cambiando il costume del mimo e la grafica delle illustrazioni). La musica introduce o accompagna (anche rumoristicamente) l'azione, non è  continua, come il mimo non è del tutto muto.
   Inizio con un brano da richiamo mentre M apre i trespoli-tripodi e tira la corda (i fogli possono essere in una valigia o in uno zaino sulle spalle del Suonatore).
    Ora le alternative sono due: 1- in fogli più piccoli, scritto in caratteri normali, parte del testo del racconto da far leggere & ripetere a voce sempre più alta da vari spettatori; 2- azione muta tentando di far indovinare al pubblico la didascalia del disegno (appeso di volta in volta = città antica, topi, ...); questa alternativa è da preferirsi con un pubblico di bambini coodamente seduti e che grossomodo conoscano la fiaba.
   Proseguiamo con l'azione #1: M appende un'immagine di città medioevale, stop musica; prende un foglio piccolo e fa leggere ad un adulto, poi a un bambino, a una donna e ad altri facendo cenni per farlo dire a voce sempre più alta, poi tutti insieme (spezzando la lettura) e quindi indica la città (disegno). Mostra perplessità: "Che sta accadendo in questa città?"  
   Appende il disegno di un topo, poi sovrappone quello di due, di cinque e ... di una moltitudine. (Fa ripetere: "C'era una volta una città infestata di topi!") Mostra paura e mima topi che sbucano e corrono nello spazio in basso a lui (conviene, nutile dirlo, che ilpubblico sia a fronte, quindi, se in strada, porsi con le spalle  a un muro). Mentre continua a schivare o fuggire, chiede mimicamente che cosa fare, se arriva qualche suggerimento, bene, altrimenti fa finta d'aver udito-capito e con tutti i mezzi possibili (piede, scarpa, bastone-scopa, lancia, pistola, mitragliatrice, bomba a mano, ...) tenta di amazzarli, ma questi aumentano (lo fa capire aggiungendo due  immagini, una con più topi dell'altra). S prima fa da rumorista, poi musica triste.
   M mima sconsolato: "Che fare?" Appende il disegno di un'assemblea e poi quella del Podestà (o simili), impersonandolo come gradasso. Quindi con squilli di tromba, dopo aver mostrato il proclama  da vicino al pubblico e fatto leggere chiedendo a gesti a  qualcuno se sia interessato & capace di proporre-fare qualcosa, lo appende: "Cercasi - Wanted" con tomba e lapide di topo.
   Mima alcuni candidati (con musica eppropriata al tipo): militare che propone la bomba atomica (movimenti marziali e bruschi, il disegno del fungo nucleare guardato con stupore e dubbio, e mostratoal ubblico con perplessità, quindi appesa e giardata con differenti pose & atteggiamenti, quindi scartato-tolto e manato via il militare con accenni di "è un po' matto" - sdoppiamento scenico); l'avvelenatore che si comporta da imbonitore perché la quantità di pillole-polpettebavvelenate riempino ben tre fogli (uno sotto l'altro) di camion (carri) con la scritta L'ammazza rapido-topicida (o simile) e girati (i fogli) mostranouna cifra con 1 e un'infinità di 0 $. Sconcerto di M e quindiabbattimento perché i soldi sono troppi e lui-la città non li ha (mostra tasche vuote - o simili), saluta il mercante; quindi mette successivamente una serie di ritratti di tipi strani con simboli di soluzioni improbabili (fulmini & saette, trappoline & trappoloni, elettricità, ami da pesca, gufi & civette, simboli incomrensibili, ...), musica adeguata.
   Disperazione di M che appende ancora alcuni fogli con più tipi tutti insieme in aumentare, sconforto, trilli delflauto, ripetuti finché M si rianima. (Anche qui le alternative: 1- è S a impersonare, 2- il personaggioè immaginato-mimato). I trilli continuano, M infastidito; flauto "parlante", M che guarda incredulo-scettico (in direzione del fantomatico personaggio) e quindi prende in giro mimando chi suona (silenzioso) il flauto e i topi che scappano impauriti.
   Prende-appende il ritratto (del nuovo venuto) e lo mostra al pubblico mimando in breve di nuovo la scena (flauto suona - topi scappano) con finale di ironica incredulità. S suona chiacchierino, trilla, musicalità accattiva; M nega, riflette, accetta e pone accanto all'immagine del pifferaio il disegno di monete ammonticchiate, quindi accenna al pifferaio ( dipinto) di  iniziare.
   Musica suadente, sognante; M guarda ottorno e comincia a togliere via via le varie immagini appese di topi, dalla più piena, e arrivato all'ultima con un solo topo che devess'essere sordo, per cui M urla e gli fa gesti e gestacci di andarsene via.
   Musica allegra; M: "Che vuoi?", guarda verso l'immagine dei soldi (praticamente in un lato della corda tesa c'è l'immagine della città e al lato opposto quella delle monete d'oro), la toglie alzando le spalle, trilli di protesta, M risponde mimando una suonata di flauto traverso e di piffero e facendo capire che per questo lavoretto da nulla vuole tutti quei soldi. Fa cenne che può andare, fine, grazie! Musica furibonda (al che M si impaurisce), poi alcuni trilli rabbiosi, quindi una musica veloce, poi melodiosa e quindi marcetta allegra.
   Stupore di M vedendo passare e allontanarsi, seguendo l'immaginario pifferaio, ... guarda il pubblico e appende prima un'immagine di alcuni bambini/e e poi una marea: un'inteminabile fila di essi/e. Si mette le mani fra i capelli, poi si rivolge all'immagine del podestà e della consulta rimbrottandoli, contestandoli, ritirando fuori l'immagine dei soldi la mostra e poi corre dal lato dove sono "usciti" il pifferaio e i bambini, richiamandoli (a cenni) indietro.
  La musica viene suonata prima in diminuendo poi, dopo un piccolo stacco, in crescendo mentre M da ansioso-incerto diventa speranzoso e quindi lieto e trionfante. Gira (su = giù) le immagni dei bimbi/e, fa cenno di arrivederci ai reggitori (e toglie le loro immagini), si complimenta con il fantomatico pifferaio (e con il reale )e con il pubblico. Volta (avanti = dietro) i fogli dei soldi e altri facendo comparire la scritta AR-RI-VE-DER-CI (o simile, e volendo in più lingue), lasciando quelli della città e uno di pochi bambini/e. Musica finale.
                                                                                                               Pasto, 16 febbraio 2016.
                                                                                      [Da un'idea venuta in Messico a novembre.]
                                                                                                                       

Giancarlo Varagnolo